Una testa mozzata

Irvine Welsh – 244 p. – Guanda – euro 15,00

Data: venerdì, 21 novembre 2008 - ore 14:0

Prova sottotono dello scozzese più irriverente della letteratura. Praticamente tutto ruota attorno questa “testa mozzata” che fa da evento centrale al libro e che taglia in due la narrazione. Il tutto è calato ovviamente, come Welsh comanda, nel Leith in mezzo a birre pisciose (a questo giro la nera Guinness) e a tutto quello che fa folklore scozzese. Perché Welsh è così, è un cantore della miseria proletaria della sua gente, della regione da cui proviene. E’ il narratore di periferie perse nel nulla, degli squattrinati che campano di espedienti, delle donne che inseguono il nulla; e tutta questa gente si redime soltanto con l’assurdo, unico segno tangibile della loro via di fuga dallo squallore di una realtà che rischia di mangiarseli lentamente, un pezzo alla volta. E dunque tra un fantino fallito, una ragazza votata al suicidio e i genitori di tutti e due a reggere il contorno, combattimenti per cani e sadici donnaioli, in mezzo allo scenario descritto in precedenza, Welsh si muove stavolta per sentieri già noti; non fa iperboli strane né si concede a rischi narrativi, piuttosto resta nel suo ruolo di descrittore di scenari scontati e ripetitivi, amorfi in ogni loro aspetto. Non c’è la classica impennata narrativa del nostro, neanche quando entra in gioco la testa mozzata. Non c’è niente che ti sorprende. Comunque sia ben chiaro che la lettura scende, senza intoppi, soltanto senza neanche emozioni, è questo il punto; proprio come una stout. Dopo l’ultima prova, e l’inserzione nelle sue storie dell’elemento fantastico, Welsh sembrava c’avesse preparato a qualcosa di nuovo, un rinnovato stile e filone che dovesse cambiare le cose, mentre invece poi l’abbiamo ritrovato negli stessi luoghi, a muoversi per quelle contrade che ben conosce. E che pure, però, a noialtri piace ritrovare a volte, ogni qual volta che decidiamo di affrontare la lettura di uno scrittore come Welsh.
Andrea De Gruttola.