Branchie

Niccolò Ammaniti - 185 p. - Einaudi - euro 6,86

Data: venerdì, 19 dicembre 2008 - ore 18:2

Prova prima (anzi primissima) del Niccolò nazionale, direi una opera prima “come Dio comanda” è proprio il caso di dire. Lo stile di questa storia surreale è indubbiamente Benniano. Chi abbia mai letto Stefano sa di cosa parlo; Ammaniti non raggiunge quei livelli (cimentandosi in questo pezzo s’intende) ma c’ha i semi del caso. Citazioni colte e miscellanee di situazioni ed oggetti e nomenclature grottesche e surreali. Ti spassi anche se l’inizio sembra di quelli seri e drammatici, storia destinata a finire male, peggio di come sia iniziata. Invece ad un tratto c’è il balzo nell’ironia e nel grottesco. Parte una galleria di personaggi molto ben fatta, variegata ed impazzita, con lo sfondo dei colori dell’India e di una punta di Indiana Jones de noaltri. La lettura va spedita, divertita e rapida scivolando sulle peripezie di Marco Donati e del suo strano dramma. Pescando da una moltitudine di luoghi un po’ comuni come la spersonalizzazioni del popolo del terzo mondo (ormai non proprio terzo) e altri temi similari, Ammaniti vuole anche lanciare un messaggio che vada nella direzione di sensibilizzare il lettore, attraverso l’uso della favola moderna, rispetto a queste tematiche di abuso e sfruttamento. In realtà, i valori dell’amicizia e dell’amore restano comunque centrali, soprattutto il primo, e il finale della storia, come nei migliori racconti demenziali è una sorta di taralli e vino che cassa via tutte le cattiverie dei ruoli avuti durante il dipanarsi degli eventi. Peccato che Niccolò non abbia perseguito anche questo filone, il talento c’era. Accontentiamoci di questa chicca.
Andrea De Gruttola