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IGB on the road
spedito da: Andrea
Data: sabato, 3 agosto 2013 - ore 20:6



Salve! Qui potete lasciare i messaggi di commento all'iniziativa se non avete un account FB.
Andiamo ad iniziare!
Un abbraccio.
Andrea.

commenti: 26

>>torna a casa...


Raccogliere, parte due. Fine della strada e della storia.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:41


Mi hanno chiesto cosa rimane, se mi sono divertito, se quello che m'ero riproposto di ottenere s'è realizzato. Oggi sono rientrato nella mia quotidianità e non è la prima volta che affronto il periodo del post-viaggio, sempre in modo differente, sempre con modalità differenti, sempre con curiosità estrema e stimolante. Mi manca quella vita, come ogni volta accade; ti abitui alla sveglia, alla attesa del tragitto quotidiano, alle sorprese che esso porta in seno per donartele, alle pause pranzo veloci e tese alla ripartenza, agli sguardi della gente, alle figure dei tuoi compagni di viaggio, al colore del cielo, ai profili delle montagne e dei clivi che sono a volte amici a volte nemici. E poi c'è la somma totale del senso, la strada, la padrona del tutto, in ogni curva, in ogni impercettibile gesto per regolare la traiettoria, i "drittoni", la mano invisibile del vento, come quella di un genitore, a volte carezza a volte schiaffo. La pelle della strada, l'asfalto, impari a conoscerne ogni imperfezione, a tratteggiare schizzi di guida dove infilare il tuo mezzo per farlo andare senza scossoni e poi le ripartenze, la danza fuori dalla sella, il bagaglio che ti tiri dietro che ad un tratto scompare nella tua percezione fisica, al sudore che diventa parte integrante del tuo essere, un velo che regola e aiuta il tuo corpo, la tua totale, assoluta, assenza di formalismi. Perchè chi viaggia come me, come noi, esce fuori dal flusso, si mette in gioco su un piano differente, sfalsato, dove le regole sono diverse, come diversi sono gli intenti, gli sforzi, il dolore, il coraggio, le gioie. Italia giallabianca è stato questo ed altro ancora, un album di conferme ad una passione che viaggia nelle mie vene ad onde alterne, che unisce me al mondo creato e, questa volta, anche alla gente che ho coinvolto in questo andare. Resteranno le nostalgie come dolce benzina del mio motore emotivo e, soprattutto, tutti i colori e le diversità straordinarie che ho attraversato in mezzo al suolo italico. Da dove ripartirò questo non lo so. Quest'anno l'assenza di tensione al rientro è un dato nuovo, di cui non sto ancora a indagare, perchè se è vero che ogni esperienza è fine a se stessa e confronti non esistono e non servono a nulla, allora vuol dire che qualcosa di nuovo sta per arrivare. Perchè è sempre così tutte le volte ed io ringrazio, tutte le volte, per questo straordinario dono che mi riporta ai ricordi di un vissuto che altro non riesco a paragonare nella mia vita. Alla prossima, è questa volta è davvero tutto. Andrea De Gruttola. Fine.



Raccogliere, parte uno.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:41


L'immagine che inizia il processo di metabolizzazione di cio' che e' finito ieri, e' la mia bici sotto la pioggia insuale di Acicastello. E' ferma li', parcheggiata nel giardino di casa di Fabio che mi sta ospitando, e vedo le gocce d'acqua che distillano dai fili e dalle appendici di cui e' composta. La fisso per ricordare quanti chilometri, da sempre, ho percorso con questo mezzo. Sono tanti, troppi, e tanto basta per regalarmi un momento emozionale di quelli che puntualmente mi accompagnano quando uno dei miei viaggi termina. Certamente tutto e' sempre diverso, certamente molto rimane uguale. Questi giorni che mi separano dal volo sono come tutti quelli che ho sempre avuto, momento migliore per guardare con distacco il vissuto dell'ultimo mese e dargli l'omaggio che merita. L'idea di IGB mi era gia' chiara in mente prima ancora di rientrare dal Cile l'anno scorso. In quel caffe' di Antofagasta, mentre sorbivo il mio caffe' shakerato, sapevo gia' cosa mi avrebbe guidato l'anno successivo. Quest'anno e' diverso, non ho segnali dal mio interno e la cosa non mi sorprende piu' di tanto per svariati motivi. Italia giallabianca ha fatto quello che doveva, restituirmi una dimensione sociale in senso reale e virtuale da cui avevo preso le distanze anni fa. L'afflato del cercatore di sensi solitario era esaurito in me gia' un anno fa, e questa esperienza italica mi ha invece riavvicinato agli amici e alle persone che mi hanno seguito in rete e sulla strada, in modo ancora piu' profondo, se possibile. Ho scelto volutamente una cronaca leggere quotidiana, uno stile faceto nel racconto perche' era esattamente lo spirito del viaggio: una festa, una enorme sagra folkloristica lungo la strada, un percorso di conoscenza e condivisione e scoperta lungo la terra che ci ha visto venire al mondo. Il gesto atletico, sebbene importante, in questo evento passa in secondo piano perche' tutto e' per la gente, i pedalatori che hanno abbracciato o spirito e si sono fatti avanti sul nastro di asfalto. E' stato il viaggio delle persone. Antonio Schettino e Luigi Spagnuolo in primis. Due amici, due uomini, che con ragioni e spinte differenti hanno percorso la meta' dell'itinerario in una perfetta complementarieta'. La pausa avellinese ha sancito la loro staffetta e resta in me la curiosita' di cosa sarebbe accaduto se fossimo rimasti in strada contemporaneamente. Ho gia' raccontato ampiamente di loro nelle cronache quotidiane: qui mi preme soltanto ribadire il concetto della loro forza di volonta' nell'andare oltre i propri limiti, oltre le proprie certezze e le loro idee sui concetti nobili di resistenza, fatica e volonta'. Entrambi hanno saggiato le pendenze, l'acqua insistente e una certa dose di scomodita' nell'uscire dalle loro abitudini consolidate per rimettersi in gioco una volta ancora in modo sempre piu' elaborato. Il percorso e' complesso ma il mio auspicio e' che dentro di loro sentano di avere scavallato qualcosa, di aver messo distanza tra un certo aspetto del loro modo di essere e di fare e quello di adesso. In fondo, questo era il loro obiettivo, al futuro la sentenza sull'averlo raggiunto o meno. Dopodiche' c'e' Joyce Casalino. Anche lui ha coperto la seconda parte dell'itinerario, tutta, con un'eccezionale curiosita' e contentezza dentro gli occhi. Ho gia' avuto modo di parlare della sua precoce maturita' sebbene i tratti giovanili emergessero in taluni frangenti (come e' giusto che fosse dico io) e sono molto contento del fatto che avesse fatto gruppo con me e Luigi. E' stato quel sapiente ago della bilancia che in un viaggio in bicicletta puo' fare la differenza nel bene e nel male. Joyce, gia' nel nome una personalita' particolare, ha avuto dalla sua una caratteristica fondamentale per cio' che e' e l'esperienza alla quale stava dedicandosi: la modestia. Quella discreta e reale sottolineo, perche' in fin dei conti il ragazzo di gambe ce ne aveva piu' di me e gli altri messi insieme ma e' rimasto ad imparare e ad assimilare le sfumature che il viaggio donava km dopo km. Ha supportato quando necessario, allungato alla stessa maniera, rientrato quando doveva. Si e' lasciato consigliare nei suoi eccessi di scrupolo e ha srotolato una personalita' eccentrica che insieme a quella di Giggino ha creato un gruppo che mi ha ispirato e non poco. Non ho dubbi che negli anni compira' altri viaggi e sebbene il sottoscritto potrebbe fare altro, mi piace l'idea che possa ricordarsi con chi avesse iniziato a viaggiare in bicicletta. Questi sono quelli che hanno condiviso piu' giorni e km ma altrettanto mi e' di piacere e gratitudine citare gli altri che hanno pedalato al mio fianco sebbene per tratti limitati. Stefano Rizzioli, trentino purosangue, che della salita fa il suo piacere di pedalata. E per salita si intendono le Alpi, tanto per mettere le cose in chiaro. E' stato subito il primo giorno al fianco, dettando i ritmi in maniera straordinaria e aiutandoci a prendere le misure con l'impatto di questo viaggio cosi' lungo e complicato, ciclisticamente parlando. Anche lui a disposizione, anche lui straordinariamente al servizio della causa e dentro lo spirito. Si e' separato al valico per Cortina, troppo presto dico io ma tant'e' bastato per farcelo apprezzare come fosse uno dei nostri per tutto il resto. Serena Carazzai. Il folletto di Sospirolo. E' stata gia' descritta nel commento alla tappa del Grappa. Qui voglio soltanto aggiungere che il suo contributo alla scoperta dei luoghi, di chi ci vive, attorno l'itinerario prefissato, e' stato una dei primi valori aggiunti che avremmo imparato: come appunto lasciarci guidare anche fuori dalla rotta prestabilita, per scoprire cio' che non avremmo mai potuto imparare. Sul gesto del sacrario del Grappa, la storia rende la gisutizia che merita. Straordinario esempio di donna appassionata al gesto ciclistico. Il gruppo dei Senzarotelle di Avellino, con in testa Stefania e Marco. Si sono presentati a Benevento per la seconda parte della tappa dal Matese verso casa, facendo gruppo insieme ad altri ragazzi come lo stesso Giggino, in un prologo esplorativo e Carmine Schettino, fratello di Antonio, che ha voluto dare un'ultima continuita' alla "famiglia" condividendo un pezzo breve ma intenso. Mi hanno fatto compagnia nel pezzo sicuramente piu' emotivo del viaggio, distraendomi da una caduta nelle sensazioni e nei ricordi che mai avrei potuto evitare. Hanno ridato la giusta dimensione all'enormita' del significato dell'arrivo nella mia citta'; la festicciola al carcere borbonico e' stato un gesto delicato e discreto che ho apprezzato non senza una punta di imbarazzo. Grazie ragazzi. I Minutiello, Giuseppe e Raffaele. Ero convinto di una loro parentela, se non di sangue almeno alla larga e invece no, omonimia di cognome e un'amicizia complice come se ne incontrano poche. Seguaci della prima ora del progetto IGB, si sono rivelati i primi veri personaggi che mi potevo aspettare dal sud. Generosi, simpatici, resistenti, combattenti anche loro, due persone che il resto del gruppo ha rimpianto per il troppo breve periodo passato insieme, sia sulla strada che fuori. Si sono fatti venire a prendere a Muro Lucano, ma l'arrivederci e' d'obbligo per i due lucani di acciaio. Marco Galati di San Calogero. La vicinanza del suo luogo di vita dall'itinerario di IGB, permette al pedalatore calabrese di farci da scorta per ben due giorni, regalandoci scorci della Calabria straordinari e permettendoci di evitare il peggio in termini di strada. Discreto, paziente e riflessivo, Marco ci ha veramente "guidato" nel senso reale del termine, attraverso una delle piu' contraddittorie regioni d'Italia. Abbiamo gia' raccontato di lui nella cronaca di tappa e quando ci siamo separati, ai piedi della salita di Sant'Elia, abbiamo provato la stessa sensazione di malinconia che ormai ci accompagnava ad ogni lascito. Carmelo Catalano, salitomane dell'Etna. Di Carmelo, oltre quello gia' scritto, voglio aggiungere la sua sicilianita', cosi' affine al nostro senso critico verso il senso civico violato. Esempio, d'altronde come Marco Galati e ttti gli altri, di come le persone che fanno coro contrario al senso maggioritario, ci sono e sempre ci saranno in ogni parte d'Italia. Il loro pedalare e' anche un omaggio alla forza e alla resistenza e alla disciplina che il proprio carattere puo' generare per opporsi alla decadenza attorno. Alla prossima scalata etnea Carmelo. Tra i non-pedalatori, le menzioni vanno a: Gennaro Capone. Non ha pedalato, per sua ammissione un "usurpatore" del pedale, ha invece dato il suo contributo presentandosi, in moto, a sorpresa nella serata potenzialmente piu' triste di tutto il viaggio, a L'Aquila. Con la sua verve e la sua potenza emotiva e comunicativa, Gennaro ha sottratto me e Antonio da un vortice di malinconia nera per lo scenario che la capitale abruzzese c'aveva trasmesso all'arrivo. Abbiamo girato per i vicoli distrutti e cenato con discrezione, chiacchierato del piu' e del meno. Ci ha scortato fotografando e filmando la prima parte della tappa verso Pescasseroli, l'ultima di Antonio, sganciandosi sull'Altopiano delle Rocche. L'abbiamo visto andar via mentre il mio senso di gratitudine si consolidava in eterno. Clemente Verrecchia, anche lui senza bici, compagno dell'universita' e coinquilino al primo anno di ingegneria. Non ci vedevamo da vent'anni e l'ho riconosciuto all'istante nella piana di Venafro, prima di ingaggiare la pedemontana Matese. Un incontro voluto da lui, sfruttando il live tracking, che mi ha fatto un piacere immenso. La magia che solo un aspetto secondario del progetto IGB poteva generare, e che cosi' e' stato. Grazie anche a te Clemente, alla prossima. Fabio Consoli, che pure se non ha pedalato con noi, ha coordinato e fattoci compagnia nel raccordo delle tappe finali. Suggerendoci varianti piu' caratteristiche di quelle gia' pianificate e dandoci una mano con la sua ospitalita' delicata e dedicata. Un grazie particolare soprattutto per l'ospitalita' che mi sta donando in questa decompressione da fine viaggio. E infine, ultima ma non ultima assolutamente, Dora Carapellese, che ha diretto le operazioni di diffusione dell'idea IGB, tessendo una rete di conoscenze assolutamente valida che ha permesso al sottoscritto di raggiungere persone ed esperienze notevoli. Il grazie a questa donna e' riduttivo ma avro' modo di re-incontrarla a breve per discutere di tutto cio' che avevamo iniziato ad inizio aprile e che si e' concluso ieri. Infinita, caratteristica che ne fa di lei, una donna straordinaria. [...] fine prima parte



Commento alla ventitreesima tappa: Siracusa - Portopalo di Capo Passero
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:40


E dunque e' stata l'ultima. Insomma, la fine doveva pur arrivare anche perche' sarebbe stata la strada a finire e mettere un punto. Partiamo di buon'ora, otto e venti, la partenza piu' celere. Non che avessimo tutta 'sta fretta, ma l'imprevisto si sa e' dietro l'angolo e quindi prima ci si schiaffava in bici meglio era. Si parte nell'anonimato in tutti i sensi e il silenzio aleggia sul gruppo. Ancora pochi km per cominciare a sparare le prime frasi assolute (Joyce in attesa del momento proprizio per sciorinare aforismi e teorie filosofiche sul concetto di "fine" e "cicloviaggio" e varie ed eventuali). Persino Giggino sembra pervaso da una strana potenza che puo' significare varie cose: oltre al metaforico (e reale) fine del percorso, della strada e tutto il resto, anche un piu' pragmatico fine del massacro ad esempio. Fattosta' che segue senza fiatare i ritmi piu' sostenuti del solito in prima mattina. Ma ecco che al ventesimo km una scure di terrore si abbatte su di noi: Giggino chiama la pausa. Sento da dietro Joyce che mi dice di aspettare, sovrapposto alla voce di Luigi che annuncia di doversi fermare. Non l'aveva mai fatto, nemmeno nei momenti piu' bui. Immediatamente gli scenari piu' foschi si palesano nella mia mente, a soli cinquanta km dalla fine. Mi giro e lo vedo massaggiarsi la coscia destra con una faccia da miglio verde. "Uagliu', mi tira a' coscia! E' solo in un punto qua, oi'? (ndt: lo vedi?)" annuncia fissando l'arto traditore. Principio di crampo, annuncio stile Dottor Greene in ER e Joyce annuisce a dare la conferma. Noto e' a sette km di salita e non possiamo cedere proprio adesso. Vengono ventilate varie ipotesi: tranciare Giggi a pezzi e portarcelo stipato nelle borse. Attaccare una fune e trainarcelo fino a Portopalo per poi morire di infarto tutti per lo sforzo. Schiaffarlo nel primo mezzo a motore e rivederci alla fine. Invece decidiamo per una manovra a sandwich che consiste nel metterlo in mezzo regolando l'anadatura per farlo andare agile e portarlo fino a sopra Noto e poi oltre. Riusciamo nel compito santianno regolarmente ogni km circa e portando l'uomo, prima ancora che il ciclista Giggino, nell'olimpo dei martiri. A Noto facciamo l'ultima pausa "al bar". Senza dubbio alcuno ci infarciamo di: cannolo di pastafrolla (sottile differenza) alla ricotta, regolare, mangiabianca, un budino semifreddo alle mandorle e in ultimo cassatina dell'altro mondo. Il tutto innaffiato da te' al limone zuccherato con granita di mandorle. Ripartiamo dopo la ipercalorica sosta e Giggi sembra migliorato. "Giggi' com'e' a coscia?" chiedo io, "Tira" risponde lui ed io penso, nel delirio della fine che si avvicina, che ci vorrebbe un pallone a questo punto... La strada scivola, il primo cartello per Portopalo si palesa subito dopo Noto, e qui si consuma il festival dell'improprieta' di linguaggio. La destinazione finale si presta a multiple combinazioni errate, riporto solo quelle piu' significative: Portopassero di Capopalo, Palopassero di portopassero, capopassero di portopalo e l'ultimo, palopalo di portopalo. Rinunciamo a pronunciarlo a dovere, puntando senza compromessi a Capo Isola della Correnti, il punto realmente finale e fine della storia. Alle tredici e qualche minuto la striscia di asfalto si stringe e si ricopre di sabbia. Dopodiche' si interrompe bruscamente davanti una discesa a mare improvvisata. E' finita, stavolta davvero, dopo piu' di duemila km e circa ventiseimila metri di dislivello. Un silenzio di piombio si impossessa di noi. Decidiamo per un bagno purificatore stile Gange, ma non c'e' verve. I concetti potenti iniziano ad addensarsi in testa. Joyce tenta un abbrivio sul rientro alla vita quotidiana, mentre siamo ancora in acqua, senza il successo sperato. Usciamo e mangiamo un panino svogliatamente senza proferire parola. Cerchiamo di rapire il piu' possibile con lo sguardo. Io riesco solo ad autocommentare le diversita' abissali e fondamentali tra la Vetta d'Italia e l'isola delle Correnti. Non andiamo oltre, e' tempo di spostarci a Portopalo per l'autobus che ci riporta a Catania (con delta di temperatura fuori-dentro da crepare l'acciaio inox) e imbarcare Giggi&Joyce sul traghetto per Napoli. Dopo l'acquisto di generi di conforto per il viaggio, sempre con accortezza alle calorie - arancini soprattutto e pizza, saluto i miei compagni senza troppi fronzoli prima che lo scarico adrenalinico ci trasformi in delle vedove siciliane dell'entroterra. Li vedo scomparire sul ponte d'imbarco senza neanche riuscire a scattar loro una foto. Resto sul molo insieme a Fabio, che intanto era venuto agli imbarchi in bici, per rientrare con un'agile pedalata ad Acicastello dove, ospite del pedalatore etneo, attendero' il volo di rientro nelle terre lombarde domenica mattina. Direi che questa volta e' davvero tutto. Verranno altri resoconti, ma la nuda cronaca finisce qua. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla ventiduesima tappa: Acicastello - Siracusa
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:40


Dalle stelle alle stalle e alle stelle ancora. Il tutto in soli ottanta km. Partiamo tardi oggi, in primis perche' si necessitava di azzerare un po' di sonno arretrato (pena fucilazione da parte del resto della truppa) e poi perche' la colazione del B&B si faceva al bar, coi ticket. Ora, non ho nulla contro una granita alla mandorla e brioche e caffe' e bomba alla nutella per colazione, pero' se mi piazzi il bar in calabria magari la colazione se ne va solo per fare avanti e indietro dalla sicilia. Vabbe', siamo in strada come al solito. Ieri sera Fabio Consoli, nostro mentore in differita stavolta dato che non ha pedalato con noi, ci sconsiglia l'itinerario previsto onde evitare esperienze psichedeliche nella valle prima di Sortino. A rafforzare il concetto ci racconta di un colpo di calore preso in madagascar, che non centra niente ma fa il suo porco effetto. Mi volto d'istinto verso Luigi che implora con la forza del pensiero, dato che soffre piu' il caldo che le salite ormai ma non e' che ci voglia molto per farmi apprezzare l'idea di una serata a Siracusa che e' uno dei posti piu' straordinari che conosca (l'Isola di Ortigia sottolineo). Cosi', si decide per Acicastello - Siracusa e per domani, ultima tappa, Siracusa - Portopalo via val di Noto (sembra una linea d'autobus). Partiamo, e dopo neanche venti minuti siamo a Piazza Duomo a Catania perche' voglio far provare ai ragazzi il caffe' con, al posto dello zucchero, la granita di mandorle. L'errore che commetto e' non consumare al banco. Si' perche' il barista prende un aereo da Fontanarossa per Lima e poi si inoltra a schiena d'asino fino ai 4000 in mezzo alle Ande per tirar via il caffe' che serve a noi, per poi tostarlo in loco e tornare indietro e, sulla strada del rientro, fermarsi a cogliere due mandorle in val di Noto e rientrare a Catania giusto in tempo per farsi mandare a fare in c**o da noialtri. L'attesa e' ripagata datosi che il caffe' e' una delizia. Ripartiamo (senza mance) per Siracusa e cerchiamo di dare un senso alla giornata. Il senso arriva dopo il nucleo industriale di Catania (che gia' di per se' ve lo raccomando...). Decidiamo di abbandonare la statale a nostro avviso troppo trafficata e la deviazione diventa letale. La temperatura sale a gradi/km con coefficiente 0.5: all'altezza di Augusta la vegetazione scompare e la strada inizia ad assumere l'aspetto di un sentiero di un altopiano del Kazakistan. Non si scorge alcun luogo ristoratore mentre l'acqua inizia a scarseggiare. Intorno al quarantesimo km la profezia di Fabio (proferita la sera prima a cena) prende corpo: la nuova autostrada Catania-Siracusa ha svuotato la statale paralllela e di conseguenza la provinciale dove stiamo pedalando noi. Gli oleandri che, di solito crescono tra i separatori di carreggiata sono stile baobab, invadendo la carreggiata a restringerla pericolosamente mentre gli autotreni diretti al polo petrolchimico di Priolo ci fanno la barba. Joyce evoca scenari di guerra proprio mentre transitiamo sotto un cartello dove la scritta Siracusa ha perso varie lettere fino a rimanere soltanto la scritta "IRAC": a questo punto mi aspetto come mimino un checkpoint USA a chiederci i documenti mentre l'aria e' satura degli idrocarburi che la raffineria spande nell'aria. Mi sembra impossibile che in Sicilia esistano posti simili ma tant'e'. Chiedo la situazione acqua e siamo tutti a secco ormai e di bar neanche l'ombra. Si evocano scenari di libagioni estreme alla Bear Grills: io penso all'urina filtrata con un fazzoletto o qualche altro meccanismo legato alla raccolta del sudore. Mi trattengo dal menzionare i cactus nel deserto, memore di una discussione della sera prima dove l'immancabile Joyce aveva smontato la teoria della potabilita' del succo del cactus tirando in ballo nuovamente i vacuoli e guadagnando una buonanotte dal sottoscritto. Intanto il complesso di Priolo ci inghiotte tra tubi metallici e torri di raffineria mentre ormai si sono fatte le tredici e la pausa pranzo diventa un miraggio. Riusciamo in riserva ad arrivare a Priolo dove subito si palesa un baretto che fa fortuna con dei panini per tre quarti di maestranze delle varie societa' petrolifere del posto. Entriamo passando dai 40C esterni ai 20C interni condizionati. Non ce ne fottiamo per niente. Io riesco a prelevare tre bottigliette di Gatorade con la forza del pensiero mentre Giggino si beve la sua per osmosi. Perfino Joyce se la sorbisce senza stracciarci gli zebedei con i coloranti e storie similari di controcultura eno-gastronomica. Consumiamo il pranzo e ci accingiamo a ripartire. Qui avviene l'unico affondo di Gigi della giornata. Alla domanda di Joyce sui km mancanti per Siracusa e alla mia risposta: dodici, il giovane randoneeur campano commenta con un: "ah, solo dodici dai..." e Gigi contro-commenta con la seguente postilla:"solo durici (ndt:dodici) o' cazzo!" rafforzando il concetto guardando altrove come a non trovare conforto alla sua tesi. Prima di ripartire, il gestore del baretto ci invita ad un giro sul lungomare di Priolo Marina (!) suggerendoci che guardando verso sud pare Santo Domingo, se ti giri pero' il complesso petrolchimico rovina tutto. Lo fisso per qualche secondo per capire se mi sta coglionando dopodiche' realizzo che piu' serio di cosi' non puo'. E allora lo salutiamo seguendo il suo "consiglio". Il "lungomare" si presenta alla stregua di un paessaggio alla "Io sono leggenda" di Matheson. Strada deserta, piante praticamente morte, in ogni dove, terra arsa da ustione chimica e cartelli di divieto di balneazione ovunque. Persino Joyce sembra depresso per non trovare spunti di commento botanico ma questa e' la situazione. Santo Dominchia penso io rimembrando il gestore del bar e comunque, forme di vita facevano il bagno. A questa immagine ci siamo rilanciati nella statale fino a Siracusa dove, a dividerci dall'inferno apocalittico di Priolo c'e' solo una lama di terra che pero' tiene il gioiello di Ortigia al riparo da tutto (almeno nelle nostre percezioni). All'arrivo, mentre io e Giggino ci concediamo una brioches con gelato in modalita' riflessiva, Joyce, in pantaloni lunghi e marsupio e maglietta si dedica ad un giro storico-turistico per Siracusa postando foto in diretta su FB di monumenti che non si ricordano manco i siracusani. Il tutto mentre ci sono 40 gradi e tassi di umidita' da Uganda. Da Ortigia direi che e' tutto qui. Buonasera. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla ventunesima tappa: Ali' Terme - Acicastello
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:39


"Questo e' il nostro mondo ormai", comincia cosi', appena fuori la porta del B&B Liberty di Ali' Terme (bellissimo, chiunque si trovi lo deve provare), con una sentenza di Giggino che preclude alla giornata odierna. E si parte. Oggi e' stata anche la giornata di Carmelo Catalano, del gruppo Salitomani dell'Etna, che abbiamo atteso con malcelato terrore per quello che c'avrebbe atteso una volta alla falde del famoso vulcano. Il nome del gruppo sentenziava morte certa per il cicloturista carico e affaticato. Ma andiamo per ordine. Dopo diciassette km, si staglia dinanzi a noi la rocca di Taormina e che fai, non ci vai a vedere Taormina? E no, ci devi andare, non sia mai detto. E cosi', belli freddi e carichi, prendiamo per la famosa cittadina costiera non prima d'aver cercato un ascensore data l'ascensione da razzo missile che c'aspettava: livello del mare trecento metri in una manciata di tornanti. Niente, siamo a mordere le curve in un gesto ormai consolidato, come consolidate sono gli improperi che Giggino ci fa dono di prima mattina. Carmelo ovviamente sale manco avesse una fune che se lo tira a monte, mentre per Joyce il gesto e' sempre quello, qualunque regione d'Italia, qualunque strada. Siamo su con ultima rampa con percentuale di pendenza da garage privato e guadagniamo la colma di Taormina. Li', prima pausa sudati manco ci fossimo fatti un bagno a mare e magica vista sul golfo con il particolare dell'Isola Bella a farsi ammirare. Finita la parentesi turistica, piombiamo a mare sui Giardini Naxsos dove decidiamo per un "caffe'" da protocollo. Il "caffe'" diventa: quattro brioches cocn gelato, un cannolo diviso a meta', caffe' e svariate bottigliette d'acqua. Il tutto a mezzogiorno meno dieci, come anticipo di una pausa pranzo che non avremmo fatto per via dell'insana decisione: ok, onoreremo il vulcano con una semi-scalata fino ad un certo punto prima di riscendere a riva di mare ad Acicastello dove avremmo passato la notte. D'altronde c'era Carmelo che pure ha provato a raccontarci i benefici di un'arrivo lungo costa ma noi, e lui soprattutto, alla fine abbiamo deciso nuovamente per il massacro. E cosi' veniamo al pezzo forte. L'inizio della salita. Si parte subito duri con Joyce che tenta di spiegare il ruolo della "foglia" del cactus, quella che noi chiamiamo "spina". La foglia e' detta "specializzata" ma non svolge azione fotosintetica, e dato che qualcuno deve svolgera 'sta funzione, lo fa il fusto che appunto e' verde. Lo seguo fino alla "specializzata" dopodiche' siamo gia' sfilacciati. Carmelo e' sempre li' davanti a fare da guida con il suo completino bianco lindo che sembra fatto su misura, e le scritte inneggianti ai Salitomani. Saliamo, la pendenza pure, il malumore di Giggino anche nonche' il caldo e la voglia di acqua. Perdiamo il conto delle soste alle fontane. Presso una di queste, a Presa, Joyce, cogliendo un rametto di quello che sembra rosmarino o pianta similare, dopo averci invitato ad annusarla, tenta di indottrinarci sui "vacuoli" e gli olii essenziali. Percepisco un'onda celebrale di Giggino assolutamente censurabile ma il professor Casalino va fino in fondo alla spiegazione rimanendo come unico alunno un bambino in bicicletta (!) spuntato dal nulla della piazza rovente, stile Danny di Shining versione sicula. Ripartiamo, siamo nelle mani di Carmelo, gli strumenti non vengono piu' consultati mentre Giggino continua a chiedere la fine della salita. Carmelo rincuora, annuncia ultimi strappi che non sono ultimi e tenta di tutto per tenere la truppa a morale alto. Ma Giggino ormai e' oltre. L'episodio clou avviene quando Joyce, sprezzante del pericolo, raccoglie dal selciato una pigna (ancora) annunciando di volersela studiare (ovviamente mentre si andava su che era una bellezza). Non si avvede di Giggino, in quel frangente ricomposto al gruppo, che, ormai svuotato di ogni decenza e bon-ton, replica senza ritegno suggerendo al darwin di Domicella un utilizzo improprio della Pigna, come infilarsela la' dove non batte il sole. Sembrano saltate tutte le dignita'. Ad una mia assunzione in merito all'omaggio che stavamo realizzando al vulcano, scalandolo sebbene in parte, Giggino, dietro di me, assolutamente in modo gratuito, sale in cattedra con un:" 'mo to faccio io n'omaggio..." e sfiata una fucilata che risuona fino al rifugio Sapienza a milleotto di quota. Per carita' buon segno di attivita' metabolica senza dubbio. Ma a far rientrare tutti nell'alveo della pedalata introspettiva e di stile ci pensa ancora una volta il filosofo del Vallo di Lauro il quale, entrando a bomba su una dissertazione tra me e Carmelo sul concetto di "salitomane" che e' anche ovviamente un "discesomane", fa una chiusa perfetta: " e' come la vita, si sale e si scende" zittendo tutto il resto del conclave. In queste condizioni guadagniamo l'agognata sosta a Zafferana Etnea dove Carmelo ci aveva convinti a prendere un panino che diventa una "cosa al bar" per via dell'alimentari chiuso. La "cosa al bar" diventano quattro "Siciliane" ordinate in modo ignorante dai tre non siculi del gruppo senza che Carmelo chiarisse a priori. La "siciliana" non e' una ragazza del luogo bensi' una pizza fritta ripiena della qualunque. Attendiamo mezz'ora il salutare alimento e ce lo sbafiamo intorno alle 16:15 classico orario per una "siciliana" prima di ripartire per Acicastello. Un saluto veloce a Daniele Maugeri, venutoci a salutare in piazza a Zafferana, altro follower di IGB (anche lui fara' un viaggio nord-sud d'Italia unendo simbolicamente una cima in Valchivenna e l'Etna) e a cena con noi Fabio Consoli, di Acicastello che purtroppo non sara' dei nostri domani ma che, da buon conoscitore di zone e gran cicloviaggiatore, ci suggerisce modifiche all'itinerario che studieremo a breve. Buonasera a tutti da Acicastello. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla ventesima tappa: Coccorino (Joppolo) - Ali' Terme
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:38


Oggi e' andata via liscia liscia, e questa volta nel vero senso della parola. Innanzitutto oggi e' stata la tappa che ci ha portato in Sicilia, lasciando dunque il "continente". Ma andiamo per ordine. Lasciamo di buon'ora l'Hotel Royal dove un altro poco e ci mangiavamo a colazione pure i piatti e le posate. Marco Galati intanto, preso bene dalla giornata di ieri, manda un messaggio dicendo che ci aspetta alle 10:15 presso il campo sportivo di Nicotera per bissare la partecipazione ad IGB. Noialtri decolliamo e siamo al rendez vous mezz'ora prima. Marco arriva e si congratula con la truppa per la prestazione (Giggino ovviamente gia' ampiamente "jastomato" a prima mattina). Nel mentre che attendiamo il Galati, si presenta presso di noi tale Enrico, da Calenzano (FI) che viaggia in questo modo: bici di titanio artigianale, manubrio in carbonio misto kevlar da crono-prologo giro d'Italia, ruote lenticolari ad alto profilo (con tubolare) di materiale top-secret Nasa e , dopodiche' leve cambio vintage, freni altrettanto e soltanto borsa anteriore al manubrio, e questa la dotazione logistica. Su di lui: completino di lana pettinata appartenuto a qualche parente di Bartali, caschetto con fascette a tenere la visiera di plastica tenute a mo' di corna simpatiche, pantaloncino idem con la maglia e guanti realizzati ad uncinetto e cuoio da un artigiano sepolto da almeno mezzo secolo. Stop. Alla domanda da dove venisse e come viaggiasse, lui serafico risponde che ha tutto nella borsa manubrio, si ferma dove capita e scrocca all'occorrenza ad amici sparsi per la Calabria. La sua auto e' ferma da qualche parte in Lucania e lui tentera' di recuperarla scavallando la Sila "da qualche parte". Con cadenza toscana e intercalare "suvvia", narra che si tiene in bocca dei pezzettini di formaggio che fa sciogliere con calma dato che andando piano in bici si consumano grassi. Lo guardo fisso per capire se e' una proiezione mentale o un essere in carne ed ossa. Capisco che esiste quando decide di aggregarsi fino a Palmi. "Suvvia". Joyce va in estasi, realizzato che l'Enrico e' esattamente un "personaggio" nel termine specifico ed e' un cicloviaggiatore, gli si incolla al fianco mitragliandolo di domande. Alla fine potrebbe metter giu' la biografia del pedalatore toscano in tre pratici tomi. Intanto TomTom-Marco ci fa destreggiare tra strade secondarie e bivi che manco il dipartimento del traffico della regione Calabria se li ricorda piu', facendoci evitare la pericolosissima (e merdosissima) SS18 dove i ciclisti li falciano come il grano i contadini d'estate. A Palmi, dopo aver girovagato per la piana di Rosarno (ieri l'avevo erroneamente scambiata con il bivio per l'Angitola) e dopo essermi tranquillizato sul fatto che il litorale Domizio non e' il posto piu' merdoso d'Italia ma che da quelle parti calabre se la tirano alla grande, Enrico si sgancia perche' vuol farsi un bagno a mare in un posto incantevole. "Suvvia". Mi trattengo dal chiedergli se se la levasse la maglia di lana o la lasciasse su a mo' di costume d'annata e lo salutiamo lasciadoci recapiti per scambi di istantanee scattate in giornata. Marco intanto continua nella sua opera fina di trasbordo per la salita del bivio di Sant'Elia, infilandosi in stradine dagli afrori caratteristici stagionali (leggi: pesce lasciato a marcire in busta di plastica squartata sotto il sole d'agosto, il tutto su asfalto bisunto di ogni ben di dio chimico). Fattosta' che arrivati alla rotonda di Palmi, dove inizia la salita, ci congediamo dal cicerone calabro con un po' di malinconia, come sempre e' successo per tutti i nostri amici di IGB. Salutato Marco, scaliamo il colle di Sant'Elia, corto ma appeso, come appesi sono oramai gli ammenicoli di Giggino che viene su come un frate dell'Opus Dei in cerca del castigo divino. In silenzio, imprecando, scollandosi il pantaloncino abrasivo dal deretano, maledicendo il caldo e sudando come un addetto all'altoforno di un'acciaieria. Ma, come sempre, compelta l'opera e siamo su dove Marco ci aveva consigliato di mangiare dei panini proprio sul bivio. Entriamo e la signora al bancone, che legge il pensiero datosi che decide tutto lei senza che noialtri si apra bocca, prima dice che non c'e' rimasto piu' niente, poi prepara quattro tranci di "panestruzzo", neologismo gastronomico da me coniato non appena provato il panino e la sua densita', nel quale ci infila qualsiasi rimasuglio trovato in giro tra banconi e celle frigorifero e cassetti degli armadi. La sua premura e' al massimo quando ci annuncia che mette due fette di pomodoro per "ammorbidire" il pane. Ci sediamo fuori tipo betoniere, e chi ti scollina davanti mentre noi si tritura il desco? Esatto, proprio lui, Enrico che dopo il bagno aveva affrontato la Sant'Elia senza timore. "Suvvia". Non ci vede e piomba a valle verso il mare. Noialtri continuiamo a mangiare e poi siamo a valle anche noi raggiungendo Villa San Giovanni e l'imbarco verso la Sicilia sotto una timida minaccia di pioggia (!), il tutto mentre al sottoscritto prende una strana inquietudine per lo sbarco in trinacria. E' pur sempre uno strappo del continuum territoriale sebbene il viaggio finisce a Portopalo. Non so spiegarmelo e allora mi rifugio in pensieri ed immagini non riportabili in questo commento. Una volta a Messina, svicoliamo lesti tra le parallele a riva di mare schiacciati tra la statale e l'autostrada e la ferrovia e le case dei paesini, insomma, l'asfalto della strada sembra il corridoio di casa mia. La giornata finisce in un amorevole B&B in casa coloniale e accesso a mare dall'altra parte della strada; optiamo per un bagno rinfrescante in un mare di vetro nonostante l'orario tardo pom, con Joyce e Luigi che, immancabilmente, mi stracciano i maroni con una dissertazione sulle rocce metamorfiche e la geologia calabro-sicula, con Gigi in versione amarcord e Joyce in versione Leonardo Da Vinci (sete di conoscenza multidisciplinare). E da Ali' terme e' tutto. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla diciannovesima tappa: Lamezia Terme (Sant'Eufemia) - Coccorino (Joppolo)
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:38


Innanzitutto ieri e' stata l'ultima tappa di montagna. Questo l'avevo trascurato perche' fattomi prendere dalla foga del racconto leggero e cosi' mi sono perso un dettaglio importante. L'ultimo passo (Acquabona, prima di piombare su Lamezia) e gli ultimi paesaggi montani. Si certo, faremo la barba all'Etna ma non mi sembra di tradire la frase precedente. E cosi', dopo centinaia di km su per l'appennino, finalmente oggi ci siamo ricongiunti con il vasto liquido che tanto attendevamo per cambiare marcia al nostro passo. I paesaggi sono cambiati a bomba: il mare ha ridato una dimensione piu' pacifica al nostro pedalare, l'andirivieni costiero, sebbene piu' discontinuo delle sgroppate montane, regalano allunghi fisici e mentali come poche altre strade. Il sole picchia di piu', ma puoi sempre tirare i freni e rinfrescarti con un bagno. E signori, oggi, grazie a Marco, nuovo amico di IGB che ci ha agganciato a inizio tappa, prima del raccordo marino, ci siamo fatti portare a zonzo per la costa calabra nei dintorni di Tropea. Sono rimasto allibito da tutto: la cittadina, le coste, i profili, il cielo ma soprattutto il mare. Forse un colore per descriverlo non esiste e la vista dal belvedere di Capo Vaticano o dal balcone a fine corso di Tropea, sono stati uno spettacolo straordinario. Un'acqua cosi' limpida che si vedevano le ombre delle barche proiettate sul fondo. Incredibile. Sebbene sudati e tirati come sempre, la mente e' decollata verso considerazioni al mondo creato da figlio dei fiori: una sensazione di pace e benessere strizzata in mezzo allo stress dei vacanzieri e al vociare dei commercianti. Noialtri si tenevano le bici per il manubrio mentre si fissava stolidamente la distesa blu cobalto: si cercava il desiderio di un bagno infinito tra le pieghe delle onde leggere, quasi impercettibili, invocando un abbraccio salvifico e catartico da parte dell'infinita distesa d'acqua. E poi ci siamo guardati e abbiamo ripreso la strada con vigore rinnovato. E veniamo alla cronaca di tappa. Si parte tutti gasati con lo scopo supremo di lasciarci il cacatoio* di Sant'Eufemia alle spalle, con la sola immagine della piscina che ci avrebbe atteso a fine tappa (hotel schiaffato su un crinale di scogliera che ci vuole il deltaplano per calare a mare e un impianto di risalita stile Cortina in pieno inverno per tornare in stanza). Aggrediamo l'asfalto manco fossimo gia' arrivati. Per imbeccare la strada giusta siamo costretti a violare tre quarti di codice della strada tra complanari figlie di speculazioni edilizie anni sessanta e svincoli manco a uscire da Los Angeles (California). Il tutto in un concerto di clacson ed improperi in vari dialetti con punte estreme di lingue straniere (da queste parti i turisti sono numerosi). Intanto si intuisce il leitmotiv della giornata: sole a tema "arrostiamoli tutti" (gli stronzi che hanno l'ardire di non mettersi all'ombra per ore e ore - leggi: ciclisti in viaggio). Intanto andiamo un po' su e giu' per guadagnare la piana di Rosarno e con essa l'accesso al mare. E qui, a qualche km prima del bivio per Angitola, si aggrega Marco Galati, nuovo adepto della fede Giallabianca. Marco e' del posto ragion percui ci portera' per paesini e belvederi che noi avremmo sicuramente perso. Primo paese: Pizzo Calabro. Ma prima di arrivarci, Marco decide per un caffe' in un bar noto perche' di Callipo (imprenditore noto per il tonno). Sul muro dello stabile del bar, campeggia uno striscione con la scritta:"Io resto in Calabria" firmato, Filippo Callipo. Tanto per mettere le cose in chiaro. Ed ecco che prima della pausa, al bivio per Serra San Bruno, all'ennesima rimembranza ciclo agonistica (non c'e' luogo del sud dove Joyce non abbia gareggiato) Giggino interviene dal fondo del gruppo: "Ue' Giois, che gara a'fatto qua, Pizzo-Giro della Calabria? E pe' premio che c'era, na capa e cavallo tagliata?" in un tentativo rovinoso plurioffensivo della comunita' calabra, pescando da un coacervo di luoghi comuni che hanno a che fare con pratiche da malavita organizzata meridionale**. Il volume della frase si perde nel vento e con esso la potenziale figura di merda in loco. Detto questo siamo a Pizzo, splendida cittadina famosa per il tartufo (il gelato non il fungo) che Marco ci spiega. Purtroppo non lo mangiamo per evitare congestione da prima mattina. Tenteremo al prossimo giro. Proseguiamo a zonzo per la costa calabro-tirrenica tra colori caleidoscopici e pensieri che ci sfilano al fianco delle nostre ruote, sognanti e sognatori come sempre e ancora di piu' se possibile. Si decide per la pausa pranzo a Tropea, sul mare, e cosi' avviene con me e Joyce che intanto ci facciamo un bel bagno in un acqua che neanche quelle dei mari della Polinesia. Giggino passa, per via di una piaghetta fastidiosa da decubito da sella che ovviamente e' il suo cilicio della giornata. Rinvigoriti dall'acqua, ci ingolliamo i panini (prosciutto&formaggio tanto per stare sicuri) e litri di liquidi di vario genere. Qualche chiacchiera e siamo di nuovo in strada verso Tropea alta, dove Marco vuole mostrarci il corso principale e con esso il belvedere di di fronte alla chiesa di Santa Maria dell'Isola. "Belvedere" non presagisce nulla di buono per il cicloturista carico e infatti la sponta e' notevole. Un indigeno ci mette in guardia dalla sua automobile con stile aggiunto:"Mamma e che 'nghianata ca v'aspetta!" e sgomma verso non si sa dove. Mi volto e Giggino esclama:"E questo che e", l'amaro?" riferito alla partenza subito dopopranzo e intanto viene su imprecando la qualunque. Una volta su, che Joyce intravede lungo il corso di Tropea, una fontana con le cannule che fuoriescono da statue di forme di vita ittiche: chiede conforto della potabilita' dell'acqua a Marco che, del posto, conferma meglio non libare. E Giggino, probabilmente per allargare il concetto d'imbevibilita' in maniera onnicomprensiva, esterna:"Si' si', lasciammo sta', che l'acqua che esce ro' pesce non e' mai bona!". Ale', e co' sta pennellata filosofica riprendiamo verso Capo Vaticano. E qui invece, tra i saliscendi fendicoscia che portano al belvedere di Capo Vaticano (spettacolo che ripaga della fatica, s-t-u-p-e-n-d-o!) e' il momento di Joyce mentre Marco ci erudisce sulle origini della celeberrima cipolla rossa di Tropea che in realta' trova la sua vera origine nella localita' denominata Ricadi. Episodio uno: al primo attacco per Capo Vaticano, Marco, per tranquillizzare la truppa sul problema pendenze, sottostima tragicamente una lama verso il cielo cosparsa di asfalto esclamando:"Ragazzi, c'e' un po' di salita" e decolla con la sua bici da corsa (bellissima Fondriest serigrafata con stile) come un falco su per la "'nghianata". Io e Joyce siamo dietro e qui, il pensatore di Domicella, non potendo piu' contenersi di fronte all'evidenza sbraga senza ritegno:"'azz, e questa e' no poco e salita? afacciaroca**o!" ed io per poco non perdo l'abbrivio dalla sorpresa, cadendo rovinosamente nella sopala (ndt: cunetta) a lato. Prima volta di una parolaccia proferita dal giovane campano ma, come direbbe Giggino (perche' l'ha detto eh?): "a maleparola e' come o'ssale 'ngoppa a 'nzalata!". Pontificando sul fatto che quando ci vuole ci vuole. Episodio due: Sempre nel saliscendi di Capo Vaticano, ad un tratto scorgo un enorme pigna sul selciato. Butto un'occhio all'esperto di botanica che ho affianco e noto con scampato pericolo che non ci ha fatto caso. Manco per le palle. Un'alfa 147 con re-tuning dall'indubbio stile, prende in pieno l'enorme strobilo frantumandone una parte; e qui parte la lezione sulle gimnosperme e sul fatto che ci vogliono circa due anni per formarsi e che poi pero' cadono dall'albero e' una macchina le investe. Giuro su dio che ha detto proprio cosi', scotendo il capo in segno di disappunto. L'ho guardato incapace di commentare come ieri sulla Sila, il tutto mentre si andava su stile funivia del Cernis. A finale, si arriva all'Hotel grazie all'insistenza di Marco che ci porta sul posto mentre un errore di gugolmaps ci avrebbe fatto andare a zonzo per i promontori calabri per altri sei km causando con molta probabilita', il mio omicidio da parte del resto della squadra. Dopodiche' bagno in piscina e aperitivo a succhi di frutta industriali. Cordialita' da Coccorino. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca. *Ma con un gestore dalla gentilezza incredibilmente autentica e straordinaria. **Il protagonista citato si scusa pubblicamente per la battutaccia rimandando al suo avvocato eventuali azioni di natura legale da parte di gente del posto (eventualmente anche class-action calabre).



Commento alla diciottesima tappa: Cosenza - Lamezia Terme (Sant'Eufemia)
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:37


"Giggi', e' finita, tranquillo, una volta arrivati a Mormanno, poi e' tutta facile!". Queste le parole che avevo detto al mitico Luigi per tranquillizarlo dopo i massacri calabro-lucani. E l'ho detto col cuore, dico davvero, se non che ieri piu' di 120 km e oggi, signore e signori, la tappa col dislivello piu' alto di tutto il viaggio. Povero Luigi...ieri sera tensione a Cosenza, la cena consumata manco fosse l'ultima della vita. Tutti e tre in silenzio, perfino Joyce era di poche parole. Giggino che medita l'impossibile, arriva addirittura la sentenza: "uagliu', non ci stanno problemi, piglio 'no treno e 'a facimmo finita qua". Insomma una roba che io e Joyce non avremmo permesso manco per il c***o. Notte tormentata, decisioni definitive, morale della favola: la gazzella di Rione Aversa pare avere cambiato marcia. Sempre trasfigurato per carita', ma piu' reattivo, costante nel ritmo e rapido nel ricongiungimento a monte. Gli schiaffoni si susseguono: e sali e scendi e risali e poi risali ancora e scendi e poi sali ma lui e' sempre li'. A un certo punto dobbiamo andare da una parte all'altra di un corso fluviale: la discesa e la salita sono da capogiro: quasi quasi tendiamo una corda da una parte all'altra e facciamo gli equilibristi. Eppure li', Giggino c'e', su rampe assassine mentre Joyce, ovviamente fuori dalla grazia di Dio, se ne esce con un:"Stiamo andando bene oggi, pedalabile direi". Allorche' do' un'occhiata agli strumenti e vedo 9% di pendenza. Lo guardo e penso che a Lamezia lo mando al controllo anti-doping. Il tutto, ovviamente, mentre vengo erudito dal biologo di Domicella, che improvvisa una lezione sui pedali con argomento: la flora dei monti pre-Silani. Insomma, alla fine della giornata, anonima in termini di spunti ciclo-turistici, viene fuori una pedalata superba che ci porta a Lamezia tranquilli tranquilli. Oddio, proprio tranquilli tranquilli no, datosi che stamattina, non appena decollati da Cosenza (ascensione tremenda nei primi quindici chilometri), in localita' Rogliano (leggi: nulla assoluto), il sottoscritto sente come un corda di chitarra spezzarsi al culmine dell'ennesima danza in curva. Ecco, datosi che strumenti a corde con noi non ne abbiamo, la coscienza dell'accaduto e' immediata: raggio spezzato, ruota anteriore. Pervaso da una inaspettata atarassia, il sottoscritto decide di proseguire senza intervento alcuno (in realta' non c'era una fava da fare) e cosi', si riparte alla volta di Lamezia. Ma al culmine di una salita, un ciclista con un sorriso che mostra denti in porcellana Ming, ci indica un possibile meccanico: a valle, due tre tornanti sotto. "A valle", "sotto", sono termini irreversibili per un cicloturista, specie nella giornata di oggi, allorche' capisco e staccando le borse, ri-piombo a valle da dove eravamo saliti. Arrivo all'officina, entro e c'e' un tizio seduto su due copertoni di automobile con lo sguardo fisso nel vuoto e una tuta che doveva essere giallo-blu in origine (del sistema solare intendo). Il dialogo che segue e' (riporto le frasi del Tizio in maniera intellegibili, estratte da un dialetto Calabro parlato da alcune comunita' che vivono non sotto i milledue di altitudine tra i monti della Sila): Io:"Salve, mi hanno detto che qui riparano biciclette" Tizio:"Non c'e'" Io:"Chi?" Tizio:"In Croazia" E capisco che il ragazzo deputato agli interventi sulle bici e' in Croazia. Ovviamente lo sguardo e' rimasto fisso nel vuoto, quello del tizio. Io:"Grazie comunque" e faccio per andarmene. Tizio:"Ha preso il pullman, per la Croazia" Io:"Ok, grazie uguale" Sguardo ancora nel vuoto. Decido che e' meglio uscire, indietreggiando piano. In realta', il raggio me lo riparera' nella citta' lametina nel pomeriggio tale signor Scopelliti (senza nome, solo signor Scopelliti), originario di Reggio Calabria, meccanico tuttofare, e ultras del Lamezia calcio, che ripara (in priorita'): auto, moto, bici. Con me fa un'eccezione perche' gli spiego chi sono e che sto facendo e che mi e' successo, oltre che sottolineare la mia amicizia con Roberto Festa, attaccante indimenticato del Lamezia di qualche anno fa, e lui non si prende pagato neanche se mi metto a piangere. Il suo modo per contribuire al viaggio, dira' poi lui mentre io me ne vado colmo di gratitudine per quest'uomo cosi' gentile. Intanto Joyce e Luigi erano alla ricerca dell'Hotel, girovagando per le campagne tra Lamezia e Sant'Eufemia, con Gugolmaps che li spediva tra trazzere non ciclabili o statali quattrocorsie altrettanto non ciclabili. Come siano riusciti a raggiungere l'Hotel, restera' per sempre un mistero. Un saluto da Lamezia Terme. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla diciassettesima tappa: Mormanno - Cosenza
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:36


E' stata la tappa piu' lunga del viaggio. Sulla carta senza infamia e senza lode in termini altimetrici sebbene le solite strappate muscolari sui saliscendi abbiano reso la cosa meno noiosa e lineare. Si puo ' dire che siamo entrati nel "sud" secondo criterio e cioe' con il caldo opprimente delle piane e l'arsura a picco nella controra. I paesini dimenticati da nostro signore piazzati in luoghi improbabili, abbarbicati su crinali che sfidano leggi della fisica, con le piazze coperte di asfalto consunto che trasudano olio chimico sotto il solleone. Paesi dai nomi tipici con santi e localita' prese in prestito dalla mitologia o da riferimenti storici. Messi li', in mezzo a colline riarse e basse, pettinate da filari di ulivi e smussate dalle intemperie. Silenziosi e lenti, mentre noialtri ci passiamo in mezzo con gran discrezione e ci fermiamo a scrutare i volti delle persone che ci abitano: dal barista che ci serve il caffe' di mezza mattina o la commessa e il salumiere che ci preparano i panini per il pranzo. Perche' nasce in noi una strana urgenza di sapere, chiedere come si viva da quelle parti, perche' ormai siamo abituati a vederci fissi in un posto e misurare il tutto con i nostri riferimenti relativi. Perche' dalla partenza ad oggi, sono cambiati tanti luoghi e orizzonti e voci ma la curiosita' di capire come si tiene in piedi un mosaico cosi' variegato di gente e' davvero il motivo principale per il quale ci spostiamo lungo lo stivale. Oggi pure ha provato a pioverci addosso e un po' l'ha fatto ma noialtri sapevamo che la violenza delle montagne era cosa passata ed e' cosi' che e' andata. Il caldo e' entrato da protagonista dandoci un assaggio di quello che verra'. Nessun'altra nota ulteriore. Vi lascio con il finale di tappa. Il navigatore da' una curva a destra e l'arrivo all'hotel. Giro e mi trovo l'ennesima pertica con curva fino all'ingresso: cambio marcia, alleggerisco e le ultime parole che sento sono un bofonchio di Giggino incomprensibile. Arrivo su, dopodiche' lo vedo arrivare spingendo il mezzo a mano mentre spara l'editto: "Uanema, e se pigliavi l'albergo a Maratea addo' o' pigliavi, sotto o' santo?" (ndr, a Maratea, "o' santo" sarebbe il Cristo Redentore, sito a strapiombo sul porto di Maratea, incantevole perla del mediterraneo, incastonata nella Basilicata sud occidentale). E da Cosenza e' tutto. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla sedicesima tappa: Villa d'Agri - Mormanno
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:35


Si puo' dire che comincia alle 15 circa, mentre aspettiamo sotto la pensilina di una fermata d'autobus, su una complanare della SARC appena fuori da Lauria (PZ). Cerchiamo di capire se e quando andarcene da li', perche' si', si e' messo a piovere di nuovo e a noi mancano ancora piu' di trenta chilometri per arrivare a Mormanno. E il pensiero della salita finale per arrivarci non ci mette di buonumore. Oggi si chiude il trittico di attraversamento dell'appennino e con esso la fine della pedalata difficile. Nei prossimi giorni non saranno passeggiate ma le tappe dure sono finite qua. Intanto decidiamo di andarcene da la' sotto poco prima che un dio maligno ci tendesse l'agguato. Si aprono le cateratte e viene giu' l'impossibile. Ne ho fatti di viaggi e scuffiate d'acqua ne ho prese, ma vedere le ruote delle bici dei miei compagni fendere trenta centimetri d'acqua arancione, neanche un guado amazzonico, m'ha fatto sorridere di quella grinta che anticipa le grandi imprese. Ed ecco infatti che il diluvio si scatena proprio nello scavallo Lucania-Calabria, su una strada disegnata da un bambino cattivo su un foglio di carta. Tornanti stretti e taglienti, rasoiate oltre il dieci percento, che si inerpicano per boschi avvelenati da una discarica proprio li', a due passi da noi che sudiamo e imprechiamo mentre il percolato si mescola all'acqua e irriga di veleno la terra. E tutto intorno l'inferno dei cantieri della salerno reggio, uno scempio all'intelligneza umana e al concetto di onesta'. Ed io mi guardo intorno per non perdere di vista i miei compagni: Joyce sale col solito fuorisella di agonistica memoria, ondeggiando come un insetto su un fiume. Giggino invece viene su seduto, come un motorino, in debito di tutto, svuotato fino alle ossa eppure ancora li', a spingere e trascinare bici e chili di bagagli su quelle rampe impossibili. Lo guardo fisso perche' e' un'immagine simbolo di Italia giallabianca, come Antonio sulla colma di Pescasseroli, uomini costruiti per uno scopo e che lo portano a termine, costi quel che costi, pioggia e vento e freddo. Ognuno con le loro motivazioni, ognuno con i loro santi ai quali votarsi, i loro volti che si trasfigurano nella fatica di un gesto compiuto migliaia di volte in ambiti piu' domestici e rilassati, non in sperdute vie di montagna che non chiedono altro che portarti alla sofferenza piu' nitida e cristallina. Mai cosi' oltre i loro limiti, penso io, amici che avevano sempre desiderato la partecipazione ai miei viaggi e che se la sono vissuta, e se la vivranno, fino all'ultimo chilometro. E Joyce, un ragazzo di vecchio stampo: un uomo compiuto in un corpo da ventunenne, regolato da una calma che ho sperimentato in poche persone che ho incontrato in vita mia. Pieno di curiosita' per tutto quello che lo circonda e votato alla bici arrivatoci per le vie dell'agonismo e della competizione ma che riesce, nell'ambito cicloturistico, a trovare un riassetto della sua dimensione di ciclista come fosse la sua indole naturale. E il resto? Non c'e' un resto, la tappa di oggi ha in quello che ho raccontato il suo senso. Ovviamente ci sono stati luoghi e altre strade ma credetemi, quello che ho visto oggi fare ai miei compagni di viaggio e' il migliore omaggio allo spirito piu' profondo di Italia giallabianca. Buonasera da Mormanno. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla quindicesima tappa: Muro Lucano - Villa d'Agri
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:35


Oggi tappa epocale. Andiamo per ordine. Gennaro e tutti i seguaci di IGB s'erano adombrati per il lascito di Antonio, nessuno piu' che animasse le pedalate italiche di ironia estrema, nessuno piu' che rendesse spasmodica l'attesa del commento alla tappa che narrasse le gesta dell'eroe di vicolo Giardinetta lungo le strade d'Italia. Nessuna paura, io lo sapevo gia', adesso c'e' lui, l'uomo del giorno nonche' di questa seconda parte del viaggio: Luigi Spagnuolo. Per un attimo, il sottoscritto e Joyce ci mettiamo sullo sfondo e lasciamo il palco a lui. Amico del sottoscritto dai tempi del liceo, Luigi (detto Giggino), si prepara per la sfuriata meridionale fino a Portopalo con assoluta dedizione e zompa in sella alla partenza da Avellino. Resta silente per la prima tappa, a prendere le misure dico io, le misure all'evento aggiungo, per capire i suoi limiti, come attraversarli, anzi direi, sfondarli e andare oltre. Ed ecco che alla seconda viene fuori come si deve. Partenza da Muro Lucano, incantevole paesino incastrato nei monti della Basilicata del nord, estremamente emozionante nell'immagine notturna da presepe fuori stagione. Ci innamoriamo tutti ieri sera dinanzi quella vista. Ma non divaghiamo: sgommiamo con mezz'ora di ritardo che si rivela fatale, idrologicamente parlando. La tappa e' dura e lo si sapeva e qualche timore reverenziale per la condizione a valle del recupero del novello Coppi c'erano tutti. Il nostro, dopo un parto gemellare d'alleggermento performato in Hotel, parte leggiadro come una libellula svolazzando per le curve della valle dinanzi Muro. Ma in lui serpeggia il nervosismo per le altimetrie che avrebbe dovuto affrontare in giornata. Il livello dello scompenso nervoso e' alto: alla richiesta di un commento sul paesino di Muro appena mollato, la sua frase e' altresi' eloquente: "nu' paese immerda mpiett'a muntagna" (non traduco perche' abbastanza intelligibile) dimostrando una concentrazione dedicata soltanto alla strada innanzi. Nell'avvicinamento allo "spontapere" di Picerno (ndt: salita notevolmente ripida tale da causare una smussatura delle punte dei piedi) la frase: "Giggi',non stare in mezzo, stai a destra sulla linea bianca, mannaggia a'....." per l'ennesima volta proferita dal sottoscritto all'ascetico compagno di viaggio, la risposta e' stata tale da far impallidire un monaco zen:"lascia che io viva ogni centimetro della strada..." come metafora panteistica del nastro di bitume, che sarebbe diventato il suo palcoscenico odierno. Finito Picerno, il nostro sembra in pieno stato catatonico: non reagisce agli stimoli, sembra cotto, finito, tanto da far temere il peggio, la parola mai pronunciata fin'ora e che terrorizza tutti: ritiro. Decido per una strigliata energica, due schiaffoni (metaforici) per farlo riprenderlo e pare che il miracolo avviene lungo il lago della Madonna del Pantano nei pressi di Pignola. Mentre Giggino vive il suo recupero eroico, io mi calo nei ricordi del periodo d'infanzia vissuto a Pignola appunto. Ancora una volta, l'emozione ha il sopravvento: memorie, ricordi e proiezioni mentali mi catapultano in un vortice nostalgico che risolvo con una visita ad una cara amica di famiglia. Il tutto, mentre il resto del team raggiunge una salumeria e prepara il desco per la pausa pranzo. Mangiamo in silenzio e placidi, ignorando l'inferno allestito da Zeus, nella villa al centro del paese. Solito scantone (ndt: pezzo di notevoli dimensioni) di pane con presutto e formagggio e zuco e' frutta a vari gusti. Dopodiche' la strada ci risucchia nella scalata infinta al monte Arioso. Giggino continua a viversi il suo martirio e con esso il battezzo da cicloturista vero, mentre le nubi si addensano minacciose. Ma ormai sono saltati gli schemi: al mio disappunto sulla mancanza di scorci fotografici per immortalare Pignola, Giggino rientra a bomba con un commento da esperto in trasmissione della De Filippi: " e a me checca**o me ne fotte!, io maggia concentra'". E, ancora nella scalata prima della colma, si consuma il dramma. Il cielo color petrolio (manco a farlo apposta, siamo in Val d'Agri) si squarta e ci inonda con un muro d'acqua che neanche le cascate delle Marmore. A quel punto sono fisso su Giggino che e' agghindato come uno stupratore seriale nei film americani: cappellino nero con visiera, chiuei nero dell'Adidas comperato alle bancarelle e guantino giallo-nero stile ENI (tanto per rimanere in tema). Ma lui va, ormai infreddolito e agnostico con punte d'ateismo cosmiche, mentre gli elementi si scatenano di piu' oltre possibile. La discesa da Marsico Vetere viene percorsa ad andature da pianura controvento per evitare cadute rovinose: io e Joyce dobbiamo usare i piedi per frenare, la mescola dei pattini e' assolutamente inesistente con questa precipitazione e Giggino viene giu' regolare come la funicolare di Montevergine in discesa. Alla fine, fradici come un banco di aringhe, siamo in hotel dove riusciamo a ricomporre le nostre coscienze e darci alla riflessione socratica sul futuro ciclistico a breve termine. Signore e signori, abbiamo un nuovo eroe e sono serio stavolta: Giggino Spagnuolo, davvero un guerriero. Sono fiero di tutti gli uomini fin'ora affianco, dal primo all'ultimo. Un abbraccio a tutti dalla Val d'Agri. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla quattordicesima tappa: Avellino - Muro Lucano
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:34


E cosi' oggi siamo ripartiti. Da Avellino siamo partiti in cinque: il sottoscritto, Luigi Spagnuolo, Joyce Casalino da Domicella, Raffaele e Giuseppe Minutiello da Venosa. A parte Luigi che e' di Avellino, tutti sono arrivati ieri sera e abbiamo colto l'occasione per cenare tutti insieme e fare conoscenza. Grazie a mia sorella e mio cognato per l'ospitalita' a casa loro: e' stata una bella serata, abbiamo mangiato bene e passato del tempo piacevole. Dopodiche', stamattina rendez-vous a piazza Liberta' e partenza alla volta di Muro Lucano. La tappa e' stata molto bella e scorrevole sebbene in chiusura i numeri sono notevoli in termini di dislivello e distanza. La squadra e' stata all'altezza delle aspettative e i ragazzi sono stati una compagnia eccezionale. Solidarieta', attenzione e dedizione al sacrificio e grande spirito di gruppo. Ancora una volta e' stata straordinaria la sensazione che tutti ci si conoscesse da sempre. I paesaggi anche hanno accompagnato i nostri umori: abbiamo attraversato l'Irpinia piu' vera e fatto saliscendi tra paesi dislocati in aree veramente remote. Sono rimasto coinvolto dalla nostalgia dei due giorni fantastici passati tra le mura domestiche e i territori che ho attraversato oggi mi hanno tenuto emotivamente attivo fino all'arrivo a Muro dove la peculiarita' del posto solletica ancora di piu', se possibile, le emozioni che stanno animando il mio interno. Un plauso particolare a Luigi che, come Antonio, uomo che si e' allenato per questa esperienza pur non essendo un appassionato da sempre. Joyce, ex agonista, non ha bisogno di commenti da questo punto di vista. Entrambi, e questo lo posso dire subito e anche perche' mi accompagneranno nei prossimi giorni, ragazzi di straordinaria profondita' e delicatezza nella visione della vita. Raffaele e Giuseppe sono stati simpaticissimi e straordinari: determinati fino alla fine contro le avversita', seguaci dagli albori del progetto Italia giallabianca, non vedevo l'ora di condividere la strada con loro. Peccato per quest'unica giornata ma rimarra' per sempre scolpita nelle nostre ruote. Giuseppe e Raffaele si sono staccati all'arrivo e rientrati a Venosa con un pick-up familiare mentre io, Luigi e Joyce domani ripartiremo alla volta della Lucania di sud-ovest. Transiteremo per Pignola, paese a due passi da Potenza dove ho passato la mia infanzia: sara' un altro passaggio delicato che sono curioso di vivere. C'e', in ultimo, una corrente di bassa intensita' che scorre nelle profondita', nel mio cosiddetto "retrocranio". La metto a fuoco, dopo un istante e' gia' andata. Dopodiche' un profilo, un colore, un odore o uno scatto ed ecco che rientra in campo, nitida, forte e tremendamente spaventosa. Devo portarmela dietro fino a Portopalo. Magari capiro' bene di che si tratta e potro' liberare altre energie. Questo e' sicuro. Buonasera da Muro Lucano, un luogo davvero incantevole. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla tredicesima tappa: Pratella - Avellino
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:33


Oggi scrivo il commento alla tappa il giorno dopo (riposo) perche' ieri tempo materiale non ce n'e' stato. Innanzitutto a Pratella, bellissima serata con Clemente e la sua famiglia che mi hanno fatto compagnia a cena. E' stato bello poter rivedere un amico di tanti anni fa e riconoscerlo subito, senza preamboli, per fare due chiacchiere di raccordo di ben vent'anni di esistenza. Dopodiche' e' Pratella la chiave: il paese e' a dodici km verso benevento cosicche', l'accorciamento della distanza dal capoluogo sannita, mi fa prendere la decisione di arrivare fino ad Avellino e non fermarmi a dormire a benevento appunto. Una sera in piu' a casa ci sta bene. E allora ieri mattina partenza da Pratella e arrivo a Bn intorno all'ora di pranzo. Alle tre e mezza rendez-vous vicino la villa comunale con i ragazzi della Bottega della Bici di Avellino, Stefania e Marco con Giuseppe e Luigi e Carmine ed altri, che oltre a pedalare con me fino a casa, hanno anche messo in piedi un simpatico benvenuto all'interno del carcere borbonico dove mi sono ricongiunto con la mia famiglia. Un grazie particolare va anche a Massimo Mazzone, fiab Benevento, per avermi voluto conoscere e per la gentile offerta del rinfresco a Bn. Sulla strada accade questo. Da Pratella a Bn scelgo la pedemontana Matese attraversando tutti i paesini: Ailano, Faicchio, Piedimonte e tutti gli altri fino a Guardia Sanframondi e infine Bn. Saliscendi piacevoli e pedalabili affrontati in modo "riflessivo" data la lunghezza della tappa. Arrivato a Bn e afferrato il gruppo ripartiamo sceglienda la classica delle classiche: rientro per Altavilla e la sua "salita" di adolescenti memorie. Il gruppo era composto da Stefania e Marco appunto, da Giuseppe, giovanissmo grimpeur d'altri tempi e poi, al warm up, Luigi che partira' alla volta della Sicilia martedi' mattina e, sorprendentemente, Carmine Schettino che si', come molti di voi noteranno, stesso cognome perche' fratello del mio compagno di viaggio fino ad un paio di giorni fa. Carmine si e' presentato con la stessa bici che aveva Antonio, devo dire un'impressione notevole, e stesso pantaloncino: insomma, sembrava lui, se non fosse per altri miliardi di differenze che non sto qua a descrivere. Lungo la strada altri ciclisti si sono aggregati, sempre nell'orbita della fiab Av e siamo andati cosi' fino ad Avellino. Devo dire che le sensazioni sono state davvero molto potenti. E' la prima volta che contamino il concetto di viaggio in bici con una dimensione cosi' domestica: la mescolanza di abitudini da casa con le fatiche della pedalata di scoperta hanno il sapore alcalino di una miscela sorprendente. Risalire Altavilla con la bici carica e' stata una delicata carezza al passato che mi ha emozionato in modo piacevole. Piombare in citta' e raggiungere il Carcere Borbonico poi, be', quello non saprei neanche come metterlo giu' in termini di cronaca emotiva ragion percui passo. Posso solo dire che passare per Avellino e' stato uno dei momenti piu' alti di questo progetto e sicuramente a fine viaggio mi restituira' la giusta eredita' per permettermi di fissare quanto ho vissuto ieri. Adesso si sta fermi due giorni. Domani attendero' i prossimi uomini di viaggio che con me partiranno martedi' mattina. Saremo in cinque sicuri con un sesto in forse. Ma di questo ne parliamo martedi' sera: oggi e' riposo. Buona domenica da Avellino, casa. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla dodicesima tappa: Pescasseroli - Pratella
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:33


Ed eccoci qua per la prima tappa in solitaria. Quella di oggi sulla carta era facile facile con un paio di scollinamenti non assolutamente irresistibili e una lunga discesa nella valle del Volturno per poi agganciare la pedemontana matese e farsi mettere in direzione Benevento. Tappa loffia, affrontata con inerzia tutta personale nell'assoluta incapacita' di avere riferimenti e discussioni come succedeva con Antonio. Notevole il passaggio per Barrea col suo lago e lo scavallo di Alfedena, in piene montagne appenniniche. Cosi', complice la facilita' altimetrica e la lunghezza sulla carta tranquillissima, ero gia' bell'e che arrivato nel dopopranzo. Fattosta' che nella deviazione decisiva verso la pedemontana matese, vedo un tipo che sbraccia a tutto spiano e grida:"ma chi te lo fa fare". Incredibile ragazzi, Clemente Verrecchia da Venafro con furore aggiunto. Il personaggio e' un pezzo di storia del sottoscritto, neanche tanto banale, datosi che e' stato uno dei coinquilini del primo anno di universita' a Napoli nel lontano 1993-1994. Vederlo dopo ben vent'anni abbondanti e riconoscerlo immediatamente, e' stata veramente l'emozione della giornata. Un caffe' veloce, un tentativo di racconto condensato in una mezz'oretta scarsa e dopodiche' il commiato. Non prima di farmi dare supporto per il pernotto che il buon Clemente ha subito regolato. Grandissimo e grazie mille per questa dritta. Vedremo se stasera riuscira' ad essere seduto a cena col sottoscritto, potrebbe farcela. Intanto, la localita' in cui mi trovo, Pratella in provincia di Caserta, ha permesso una limata di una decina di km alla tappa di domani. Non credo per ora di cambiare programmi ma piu' tardi daro' il calendarietto ufficiale del passaggio avellinese. Grazie mille ragazzi per il supporto e la simpatia dimostrata nel vostro "seguire" quest'iniziativa. Siete grandi anche voi, anche se non pedalate! ;-) Buona serata da Pratella, provincia di Caserta. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla undicesima tappa: L'Aquila - Pescasseroli
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:32


E cosi' finisce la prima parte del viaggio e con essa la compagnia di Antonio Schettino. Abbiamo superato i mille km e siamo al giro di boa (centinaio in piu', centinaio in meno). Antonio oggi ha coperto i cento chilometri della tappa e all'arrivo ha trovato i suoi per un pick-up da fine avventura. Diciamo subito due parole sul nostro: e' stato grande. Sebbene ammantato di ironia dalla prima tappa, l'uomo s'e' contraddistinto immediatamente per una straordinaria combattivita' e tenacia, caratteristiche essenziali per il cicloturista impegnato in un viaggio del genere. Sempre sui pedali, pronto alla deviazione gravida di sofferenza, leggero e ironico quanto serviva, Antonio e' stato all'altezza della situazione, e certamente che il suo distacco dalla partita rende il sottoscritto privo di una spalla nota e fraterna. Ma questo lo si sapeva fin dall'inizio e sebbene questo, manchera' a me e a tutti coloro che l'avevano eletto personaggio del momento. La storia cambia, gli uomini no: Antonio Schettino, dieci anni dopo la Sicilia, e' stato ancora assolutamente all'altezza delle (sue) aspettative e della sfida che la strada gli ha porto davanti. I chilometri che verranno gli renderanno memoria come tutti coloro che hanno ciclato fin'ora. Cambiando argomento, una nota a latere va fatta ad un altro personaggio monumentale per altre ragioni. Ieri pomeriggio, non appena terminata la nota di tappa all'arrivo a L'Aquila, ancora rintronato dalle emozioni dell'arrivo, sento bussare alla porta della stanza e aprendo mi trovo davanti Gennaro Capone. Per chi non lo sapesse, Gennaro e' dietro la gestione "social" dei miei viaggi dal 2005 in occasione del raid in Islanda. A parte questo e' amico e fratello da anni imemmori. Con il suo gesto, in moto da Bologna a L'Aquila per passare la sera con noi e scortarci per mezza tappa odierna, e' stata una cosa che ha salvato l'umore di un fine tappa altrimenti pieno di malinconie ingestibili. Un abbraccio infinito al mitico direttore e stima all'uomo che e'. Venendo alla cronaca cilcistica, oggi un centinaio scarso di km con due colli decenti, Rocca di cambio e Passo del Diavolo, entrambi oltre i 1300, con in mezzo la piana del Fucino. Ancora una volta emozioni a bomba per un vissuto di qualche anno fa e giornata particolare per vari motivi: l'ultima tappa di Antonio, come detto, la scorta e il supporto di Gennaro fino all'Altopiano delle Rocche, il guasto dei sistemi elettronici poco prima dell'ultima salita verso Pescasseroli e, in ultimo ma prima o poi doveva pur capitare, una genuina "'ncasata r'acqua" (acquazzone notevole, ndt) proprio sulla scalata al Passo del Diavolo che non ha smentito il nome a sto punto. Fradici all'arrivo a Pescasseroli, riesco a ricoverarmi in hotel trovato "a volo" grazie all'intercessione di una signora molto gentile che ha chiamato il fratello per darmi ristoro (da premettere che a Ferragosto, a Pescasseroli, e' davvero un bel gesto). W l'Italia ci sta bene a questo punto. Andiamo avanti. Da Pescasseroli, buon ferragosto a tutti. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla decima tappa: Norcia - L'Aquila
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:32


Qui e' dura oggi. Sto scrivendo da una camera d'albergo in pieno centro a L'Aquila, a due passi dalla zona rossa. Fuori piove e il cielo non ne vuol sapere di dare scquarci. Ciclisticamente parlando, oggi si e' andati lisci come l'olio. L'uscita dalla Valnerina e' stata sicuramente importante ma l'abbiamo gestita bene anche se di prima mattina. Dopodiche' e' stato tutto un andare per vie secondarie a tagliare montagne e statali per poi piegarci alla SS80 in arrivo al capoluogo abruzzese. Mi limito a questo come discussione ciclistica perche' tutto il senso oggi era concentrato nell'arrivo a l'Aquila appunto, citta' con la quale ho diviso un buon pezzo di vita. Ero gia' tornato dopo il terremoto ma non m'ero spinto cosi' all'interno. Questa volta, invece, complice l'hotel situato a ridosso del centro, siamo giunti attraversando appunto la zona piu' devastata della citta'. Ora, non pretendo di scrivere nulla che non sia gia' stato scritto e detto con maggiore efficacia ma voglio soltanto descrivervi cosa accaduto ad un certo punto dell'ingresso in citta'. La strada principale, corso XX settembre, era chiuso per la demolizione in corso del palazzo dell'INPS. I pompieri non ci permettono il passaggio di soli venti metri di strada e cosi' siamo costretti ad aggirare il punto. Con l'usilio della mappa elettronica, giriamo intorno al blocco e trascinando le bici su una scalinata giungiamo ad un ponte chiuso da transenne. Lo attraversiamo, mentre tutto intorno e' di uno spettrale indescrivibile. Sento che mi opprime qualcosa, che non riesco a mettere a fuoco, mi innervosisco quando non vedo Antonio uscire dalla curva dopo il passaggio del ponte e quando emerge, ci fiondiamo giu' per una discesa che porta ad una piccola rotonda. Tiro i freni in un gesto inutile, la strada e' chiusa e l'incrocio non rappresenta un pericolo, ed e' li' di fronte a noi, in una coincidenza assolutamente straordinaria: la casa dello studente. Ancora li', come quattro anni fa, con le transenne occultate da cimeli lasciati da chiunque, come un ground zero in scala ridotta, con le foto, le poesie e tutto quello che vi potete immaginare. Alzo gli occhi, intorno c'e' silenzio, lungo una strada che prima era un'arteria vitale per la citta', e il palazzo e' scisso in due, con la meta' crollata e l'altra ancora in piedi e completamente sventrata. Resto imbambolato da un'emozione triste come solo durante la visita di Auschwitz di qualche anno fa avevo provato. Mi colpisce la visione degli interni delle camere rimaste in piedi ma sventrate. Gli armadi, i bagni, le pareti. Mi proietto, come io studente anni fa, al pensiero di quelli che in quella notte del 6 aprile 2009 magari erano piegati sulla scrivania con la luce accesa per limare le ultime imperfezioni di una preparazione pre-esame. E poi una danza di morte della madre terra e un pezzo di palazzo che va giu' e si porta dietro la vita di quarantasette ragazzi e con essi tutti i loro sogni. Continuavo a fissare l'armadio, una suppellettile qualunque eppure troppo dissonante in quella imamgine altrettanto troppo nuda di quell'enclave di vite spezzate. E' stato troppo. Abbiamo affisso sulle transenne una toppa ricamata con il logo di Italia Giallabianca e siamo andati via, verso l'hotel, in silenzio, con un carico di pesantezza addosso che non credo andra' via stasera e che forse solo lasciando questi luoghi si mettera' distanza da tanta emotivita' inattesa. Resta la sensazione di una forza straordinaria della vita a non voler abbandonare queste traverse e questi luoghi, forse la miglior risposta a tanta ingordigia di morte. Colpisce, davvero, e a voler cercare di afferrarne tutto il senso, si rischa di esplodere o di non arrivare fino in fondo ad un nocciolo di una questione che lascera' per sempre tantissime vie di fuga alla comprensione umana. Buonasera da L'Aquila. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla nona tappa: Matelica - Norcia
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:31


Oggi doveva essere una tappa appendaun (su e giu', ndt) sotto o'sole e spacca gambe: bene, e' stata tutto questo e' molto di piu'. Ma andiamo per ordine. Si inizia tutti allegri, primo obiettivo aggirare la vetta di Camerino. Prima mazzata. L'unico modo, per non ciclare la statale trafficata e assolutamente fuori rotta, e' segare letteralmente il territorio tramite le trazzere dei contadini che, per chi non se le inquadra, sono dei nastri di asfalto consunto dai secoli appoggiati letteralmente sulle colline. Risultato: con le gambe belle fresche un paio di chilometri al 13 con spunti idilliaci al 17 e siamo su. Sembrava finita e invece dobbiamo raggiungere la valle con statale e fiume annesso. Ci inoltriamo affidando le nostre traiettorie alle mappe di gugol ed eccoci spersi nella radura marchigiana con la strada che si fa bianca (nel senso delle crete senesi). Per un attimo mi ritrovo fiondato sulla Dalton hwy versione nostrana ma il sogno dura poco: picchiata verticale sul brecciolino con rischi sbandate enormi e siamo in valle. Percorsi appena una trentina di chilometri con la sensazione dei cinquanta pero', affrontiamo la valnerina pieni di fiducia nel prossimo (incrocio). Cicchiamo un crocicchio come da programma e regaliamo una decina di chilometri al percorso per poi rientrare sul vecchio itinerario invece di pedalare in pianura ma con allungo di altri tredici chilometri. Saliamo piacevoli fino alla Forca d'Ancarano...dovete sapere che la parola "Forca" (o a volte anche Forcella) in gergo ciclistico equivale a: strappone dilania muscoli che non lo vedi fino a che la strada s'impenna a mo' di muro e tu non hai piu' scampo. Risultato, ultima sgroppata per guadagnare la colma di Norcia tra notevoli autorita' religiose tirate in ballo a piu' riprese e con libera interpretazione descrittiva. Finalmente si arriva ma non prima di registrare un problemino che spara, per l'ennesima volta, l'Antonio nell'olimpo dei martiri. Ben prima della Forca di cui sopra, praticamnete in valle appena dopo Visso, il polso sinistro del nostro si gonfiava sotto, evidentemente, la pressione esagerata della sua guida con guanti non proprio all'altezza a sto punto. La scena che si palesava ai miei occhi era la seguente: in salita, sulle rampe, ogni volta ch emi voltavo indietro per controllare la situazione, lui era li' che saliva agganciato al manubrio solo con la destra, mentre il braccio sinistro era tenuto uso tutore, vicino al busto in un estremo quanto vano tentativo di lenire il dolore. Che dire, anche con un braccio solo, e si' che non si pedala con le braccia ma il mezzo lo devi tirare in salita e tenerlo in rotta. A voi i commenti sull'uomo prima ancora che sul ciclista. E da Norcia, ce semo magnati tutto (anticipo della serata), e' tutto. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla ottava tappa: Urbania - Matelica
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:31


Oggi dovevamo essere bravi. Ieri si e' spinto abbastanza e domani si fara' altrettanto, dunque oggi bisognava andare di cesello per evitare che le gambe risentano della fatica. Cosi', partiti dall' "eremo" di Orsaiola ci siamo addentrati nelle valli marchigiane sotto un cielo tirato a lucido col sidol, con un'aria tersa e la temperatura mite che sembrava primavera non pieno agosto. Su e giu' con decisione, a volte con delicatezza a volte con un po' troppa rudezza da parte della strada ed ecco perche' siamo stati attenti, molto, per evitare ripercussioni. I saliscendi andavano dolci in mezzo alle valli e su per i monti, attraversando paesi mai sentiti, col traffico ridotto al minimo, l'aria stanca e l'entusiasmo un po' sopito quando non c'e' adrenalina. Ma oggi era cosi' che doveva andare e Italia giallabianca e' anche questa, una cucitura tra punti aspri e desiderati e dimenticati dalle rotte ed e' li', mentre ingrani sugli spuntoni al tredici percento che spaccano i paesini per rivolgerti pronto al prossimo clivio con altrettanta solerzia di pendenza che ti senti appagato e pronto ad andare oltre. Oggi e' stata una delicata carezza ad un'Italia nascosta, nel pieno dello spirito di questa iniziativa. Pero', piu' andiamo avanti e ci facciamo romantici, meno si riesce a raccontare di facezie anche perche' il principale "fornitore" sembra essersi sintonizzato su una frequenza che e' quella del viaggio compiuto e quindi e' concentrato, piu' attento e poco generoso in termini di cronche extra ciclistiche. Ed e' giusto cosi, aggiungo io. Vi abbraccio. Ossequi da Matelica (MC). Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla settima tappa: Savignano sul Rubicone - Urbania
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:30


E finalmente la prima appenninica. Bellissima tappa, attesa e temuta, affrontata e compiuta, emozionante e generosa. Si e' partiti a bomba con il primo tratto da Savignano verso Sogliano al Rubicone dove la strada di approccio conta un 18 tornanti su 2,4km di strada: roba mai vista, in pratica si sterzava soltanto e la pendenza ti faceva decollare. Questa partenza a freddo ha un po' teso gli animi anche perche' dopo non si e' fatto altro che salire. Prestazione ancora una volta sugli scudi per Antonio che chiude 101km con 1800 di dislivello circa che, v'assicuro, e' stata un'operazione d'ingegneria psico-biologica. QUella odierna e' la prima di tre tappe infernali cui seguiranno la Matelica Norci di dopodomani e la bestiale L'Aquila Pescasseroli qualche giorno piu' in la. Quello che oggi ha fatto sangue e' stato l'ingresso in un territorio a noi noto, con profili e campi e localita' familiari. Le strade che si stringono, gli alberi che chiudono a tratti il sole e donano refrigerio, la pendenza che torna ad esaltare il gesto atletico e spirituale, insomma, una tappa di quelle che si aspettavano. Siamo dentro adesso, sotto Firenze in termini di latitudine, il che vuol dire che siamo veramente dentro la spina dorsale di questo paese. Lo stiamo attraversando come piccole entita' che vogliono saggiarne stato di salute e umori, che vedono un'Italia lenta, al di fuori del caos che in questi giorni stara' smangiucchiando le coste del litorale. Abbiamo lasciato alle spalle il mare senza drammi, con gran passione per i monti di fronte che ci hanno abbracciati come si fa con i vecchi amici. Le strade di oggi sono state quelle giuste, secondarie de facto, col traffico ridotto al minimo e l'asfalto come la pelle di un vecchio pugile. Siamo andati su, metro dopo metro, con le gambe che giravano come un orologio svizzero, che hanno dato quella riserva che e' servita per l'arrivo all'agriturismo fuori Urbania dove abbiamo dovuto dare qualche km di ulteriore ciclo per giungere alla meta. Ma che bello pero' con la piscina ed un relax che solo un posto in mezzo ai colli puo' donare. E adesso, prima di andare a cena, la mente gia' si proietta sui prossimi clivi asfaltati perche' il cicloturista, si sa, vive la strada come una droga, ed anche se non ne puoi piu' sul finire, basta una doccia ed una buona cena e ritorna subito al desiderio, perche' comandano le gambe ed il cervello, oltre che il beneamato cuore. E Antonio? Be' oggi e' stato davvero tranquillo e c'ha pensato un anziano al volante a colorare la giornata. Pausa pranzo da Quinto, bar ristorante con piscina annessa a due passi da Pennabilli. Antonio stende il telo sotto un alberello e noi ci aquattiamo a consumare i nostri panini tralaltro con mia invidia sul tonno e formaggio del compagno mentre io, inspiegabile, per pigrizia mentale e sudditanza ad osolete tradizioni, vado di formaggio e prosciutto come sempre. Mentre stavano in relax dopo l'assunzione di cibaria, ecco che arriva un vecchio al volante di una ibrida city, forse una yaris o giu' di li' adesso non ricordo. Bene, i parcheggi erano terrazzati su un crinaletto d'erba e terra: il giovin autista sbaglia l'ingresso tipo porta di slalom gigante e si mette in bilico sul terrapieno pronto al ribaltamento. Io e Antonio piombiamo sul posto facendo da contrappeso mentre l'uomo tenta di rimanere calmo mentre la figlia fa un attimo di scena. Arrivano i rinforzi, nella figura di un meccanico del posto, il quale, etichettato dalla sua "ragazza" come uno che "ci lavora co' ste cose" (mah, intendeva le macchine immagino ma il nesso con la situzione non lo coglievo) si mette al volante dopo aver messo in sicurezza il matusa e, grazie anche all'intervento del gestore del posto con stazza da contrappeso tipo lingotti d'acciaio massiccio stile torre di Pisa, riusciamo a rimettere la carretta in piano e far porseguire la giornata per tutti bene. Insomma, a sto' giro Tonino, come me. e' stato spettatore. Buona serata a tutti da Urbania (PU). Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla sesta tappa: Comacchio - Savignano sul Rubicone
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:29


Oggi e' stata l'ultima (di tre) delle tappe in pianura padana. Innanzitutto devo dire che il caldo non e' stato affatto il problema che si credeva all'inizio. Il cielo sempre leggermente coperto e il vento che c'e' stato amico, hanno fatto passare in secondo piano la temperatura. Cosi', siamo andati bene e ci siamo pure divertiti oltre che aver fatto recuperare la gamba per le fatiche che verranno. Oggi ci siamo dedicati un po' di piu': significa che abbiamo ridisegnato l'itinerario a favore di strade ancora piu' secondarie (o come direbbe Antonio: "chiu' secondarie i cheste, ci sta solo o' ciume" - piu' secondarie di cosi', c'e' solo il corso del fiume, ndt). E dunque addirittura un battellino abbiamo preso per guadare il fiume Reno che ci separava dalla piana ravennate. Dopodiche' abbiamo puntato dritto a Ravenna, appunto, dove attraversando la citta', abbiamo reso omaggio alla tomba del sommo poeta che come sapete riposa proprio li'. Salutato Dante abbiamo puntato verso sud, Cervia per l'esattezza, dove a seguito di un dialogo tra Antonio e un indigeno con prole a seguito (da me non monitorato con rischi enormi), abbiamo ingaggiato una strada sterrata ignorando gli strumenti di bordo, che attraversando una pineta giungeva a Cervia. Ora, prima di lasciarmi andare a sentimentalismi, segnalo Antonio che riesce a farsi il bagno, finalmente, nel brodo di Cervia (tralaltro con ostentata soddisfazione, manco si fosse calato alle Maldive), un falso allarme a seguito di puntura di zecca o, come descritto poi dallo sfortunato ciclista (indovinate un po' chi), "n'animale strano..." e, a corredo, ennesima foratura di gomma posteriore (ometto il protagonista dell'imprevisto perche' immagino possiate gia' saperlo). Detto questo, voglio invece raccontarvi delle sensazioni lungo quest'ultima tappa in piano. Dove il ristagnare della mescolanza tra acque fluviali e marine genera un'indolenza che pare permeare anche le persone. Sono quelle zone strappate all'acqua con la forza dell'uomo e delle macchine, come l'Agro Pontino, il Polesine e altre similari. La gente cammina piano, ha sguardi vacui e superficiali, ma non per senso piu' per compenetrazione con gli specchi d'acqua. Nell'aria aleggia il pervasivo acre odore salmastro come di eterno approdo di pescherecci e i bilancioni sono ovunque. Noi abbiamo attraversato questi territori con il vento a darci una mano una volta tanto, quasi che volesse aiutarci a spingerci oltre e ridarci in pasto ai territori che piu' ci competono, le colline e le montagne, insomma, ovunque si crei pendenza. E cosi', domani si ricomincia: il martirio ci aspetta a braccia aperte perche' gli Appennini, a differenza delle Alpi, sono belli e che distesi, lungo dorsali che spunzecchiano qua e la' regalandoti dislivelli di fine tappa che le gambe devono essere pronte rapidamente a digerire. L'avversario non e' macroscopico, non ha nomi altisonanti ma giace in agguato coperto da teorie di colline assolutamente complici, che cercheranno di piegarci ad altre ragioni mentre noi tenteremo di fare esattamente il contrario. Oggi, nell'arrivare sotto le pieghe montane, mi sono rigenerato emotivamente perche' sento ancora una volta che le emozioni piu' grandi sono esattamente tra quelle montagne, perche' forse il vero viaggio inizia qui, dove finalmente percepiamo la profondita' territoriale che abbiamo raggiunto e dove le gambe non possono piu' reclamare alibi. Da domani si iniziera' una danza che terminera' soltanto nella piana cosentina e solo allora, rivedendo il mare, capiro' se quello che andavo cercando per i monti piu' noti, e' stato esattamente trovato. Da Savignano e' tutto come sempre per ora. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla quinta tappa: Cavarzere - Comacchio
spedito da: Andrea
Data: domenica, 8 settembre 2013 - ore 17:28


Veramente dura. Intendo, aspettare che la tappa finisse! Ci si e' messo anche Antonio, rimasto incredibilmente silente per tutta la durata della tappa e il gioco e' fatto. Due ali di palle per tutto il percorso, roba che stavo per mettermi a mandare due email di lavoro! A cercare di distrarmi dalla noia mortale che mi stava assalendo, ci ha provato il Delta del Po e per quello che abbiamo potuto vedere lungo il nostro itinerario, la cosa ha funzionato a tratti. A riportarci alla cruda realta' tutta italiana di devastare il territorio senza criterio, ci ha pensato la Romea (veramente un nome che non si commenta). La statale col piu' alto tasso di mortalita' italiana automobilistica: prima nella squisita graduatoria a precedere Pontebbana e Pontina (altri capolavori di ingegneria stradale). Ma ecco l'intuizione: a dieci dal termine, Schettino ha un sussulto: resosi conto della sua inutilita' cronachistica nella giornata, all'incrocio con i lidi delle Nazioni,"nota" localita' balneare della zona, sentenzia un: "io maggia fa' no' bagno" (ndt: desidero tanto farmi una nuotata nel mare). E mi convince cosi' alla deviazione natante. Arriviamo al filare di lidi come da programma qualche centinaio di metri piu' ad est e parcheggiamo i mezzi sotto un cielo che minaccia chissa' cosa ma poi sarebbe solo rimasto tale. Ci accomodiamo in veranda e qui il primo dilemma: mangiamo e poi bagno o viceversa? Convinco Ian Thorpe ad anteporre il desco al tuffo a mare (premetto che da dove eravamo, il mare era un tavola di vetro) sollevando in lui notevoli perplessita' che vengono sopite dalla fame probabilmente. Ordiniamo: Tonino una caprese (leggera) con variante prosciutto crudo tanto per allappare l'esofago, ed io piadina con cotto, maio, lattuga pomodoro e altri elementi che rendono il volume della piada da ispezione geologica. Consumato il pasto ci si muove sulla battigia. E qui si consuma il dramma: l'acqua, che sembrava appunto una tavola di vetro, dove il vetro era quello delle bottiglie di pomodori che si utilizzano ad agosto dalla nostre parti, verde alga marina, con un sedimento di mucillagine che non si capiva se potevi infilarci il piede o meno. Non vi dico Antonio: deluso peggio di un bambino raggirato, tenta uno spostamento piu' a sud via litorale e si incammina. Non tento neanche di fermarlo e lascio che vada incontro al suo destino. Mentre il nostro tenta la discesa dell'Adriatico via spiaggia, io mi cuocio lentamente sotto il sole bello asciutto e sudato, un relax come poche cose mi piacciono nella vita... Fortunatamente l'Antonio nazionale ritorna in postazione con una serie di improperi al mare dinanzi e decidiamo per una ritirata strategica sotto la veranda dove consumiamo l'ennesimo litro e mezzo di acqua gasata. Dopodiche' si arriva a Comacchio, devo dire assolutamente graziosa, in un B&B notevole per grazie e comfort. E da Comacchio e' tutto per oggi. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca.



Commento alla quarta tappa: Bassano - Cavarzere
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 8 agosto 2013 - ore 18:45


Allora, oggi, dopo le mirabilie di ieri, ci siamo calati "capo e noce ro'cuollo" (ndt: con tutto noi stessi) nella pianura padana, area polesine che, per chi non lo sapesse, e' il territorio di addestramento delle zanzare tigri e non. Si sa, al cicloturista la pianura piace come le tasse all'evasore ma tant'e', va fatta per ragioni d'itinerario e di recupero gambe dopo la tre giorni alpestre. Mi viene difficile in questa sede recuperare notizie degne di nota. Diciamo innanzitutto che il caldo e' stato meno nemico del previsto datosi che il cielo coperto e un venticello che sospirava ha mitigato le pene da temperatura. Dunque sebbene il termometro di bordo segnava punte di +39C noialtri si e' andati che era na' bellezza. Il lavoro certosino del sottoscritto in fase preparatoria dell'itinerario, ha disegnato traiettorie ziggzzagg per rendere la giornata un po' briosa ed eliminare scenari da assassinio urologico. Il tentativo ha funzionato soltanto nei secondi cinquanta km: infatti, nei primi, durante un video veloce in cui veniva ripreso l'Antonio che andava spedito in mezzo al mais, il nostro ci illuminava con un commento tecnico di spessore e sintesi epocale: "in mezzo alle pannocchie, duepalle!" (citato testuale). Ha poi chiamato Davide Cassani per chiederegli di andare a lavorare in RAI ma Antonio ha rifiutato con cortesia pur ringraziando per il gentile pensiero. A parte questo, c'e' da segnalare una pausa pranzo con deviazione mistica. Ancora una volta protagonista Antonio Schettino, il quale, nel passaggio padovano non poteva non rendere omaggio e grazie al santo omonimo. Sicuramente per aver trapassato il Grappa indenne e poi, visto che c'era, chiedere la grazia per le tappe appenniniche che verranno. Dopodiche', sul finire, tanto per non farci mancare niente, foratura a sei km dal termine su ruota posteriore. Indovinate un po' di chi? Ma certo, sempre lui, Antonio Schettino. Insomma, se non ci fosse stato, oggi che cavolo avrei potuto mai scrivere? Questo e' tutto dalla prima (delle tre) tappe padane. Un saluto da Cavarzere. Andrea De Gruttola per Italia giallabianca. — a Cavarzere, Veneto.



Commento alla terza tappa
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 8 agosto 2013 - ore 18:44


Egregi buonasera. Innanzitutto sfatiamo subito un mito: sul monte Grappa non servono il mitico liquore ne' morbida, ne' secca ne' tantomeno barriquata! Detto questo, l'aspetto faceto finisce qua. E si perche' la tappa di oggi entra nella top ten del sottoscritto (e dire che di salite non ne ho fatte poche). Qui pero' la particolarita' e' che la strada si impenna subito all'inizio, con rampe che hanno l'unico scopo di tranciarti in due prima lo spirito e poi i muscoli. Si appiana su qualche punto ma solo per presentarti il conto appena la curva dopo con micidiali rasoiate al 17 e/o 18%. Il tutto, ed e' questa la particolarita' del Grappa, per ben 25km. Salire su una strada del genere con i bagagli, e' qualcosa che ti scava l'anima nel vero senso della parola. Una tale epopea di resistenza e sofferenza non poteva regalare che atti significativi e con essi, ovviamente, eroi (ciclisticamente parlando). Il Monte Grappa e' luogo sacro per gli alpini che qui sono caduti piu' delle foglie degli alberi. Un sacrario sulla cima ne testimonia la memoria. Ragazzi morti per difendere un paese che di patriottico ha ben poco, se non dinanzi la tivvu' con la nazionale di calcio schierata. Troppo poco direi. La suggestione e' quindi palpabile e ce ne siamo accorti subito. Primo eroe: Antonio Schettino. Primo partecipante di IGB, gia' alla terza tappa, si profonde in una impresa sul piano personale che non ha eguali. Antonio non e' un ciclista, si e' letteralmente costruito per l'occasione e questo lo ha spinto in una dimensione dove ogni curva, ogni chilometro, ogni goccia di sudore e rumorino sospetto viene valutato come un dono di Dio o del Demonio, a seconda. Mi accorgo che la situazione si fa seria per lui quando inforca gli auricolari pompando musica (Muse e Rino Gaetano, fate un po' voi) a tutto volume che la sento anch'io qualche metro avanti. Isolamento totale dall'ambiente esterno: corpo non mi parlare, non ti sento. Il martirio esige le sue regole. Il nostro pero' va su, fino in cima dopodiche' e' ancora qui che si rivede mentalmente la tappa e ne estrae le sensazione che deve. Commenta da solo, a voce alta, completamente andato. Grandioso. Secondo eroe: Serena Carazzai. Si affianca a noi alla partenza dopo un messaggio la sera prima per prendere le misure. Ciclista per passione, corre in squadra, proviene da Sospirolo, paesino a due passi da Mas dove noialtri si e' passata la notte (e che notte, sembrava di "dormire" in un microonde per esseri umani). Sale su con noi fino al Monte Grappa ma non e' certamente tutto qui. Papa Francesco la mette in lista per la beatitudine quando, a un chilometro dalla vetta, si immola per salire per altri due chilometri e mezzo per andare a fare rifornimento di viveri datosi che il trio era rimasto a secco, in tutti i sensi. Il motivo e' da addurre ad un errore tecnico/tattico del sottoscritto che ha completamente ciccato un ristoro a dieci dalla vetta. Imperdonabile per la mia esperienza e per il momento che si stava vivendo. Serena ha compiuto un gesto che oltre ad esaltarne le caratteristiche atletiche, ne ha soprattutto valorizzato quelle umane in un gesto di solidarieta' senza eguali. Massima stima da noialtri e rispetto estremo per l'eternita'. I ragazzi (gli alpini) avranno senz'altro approvato. Signori, noi si va a cena. Faremo fuori anche il gestore del locale se servito decentemente. Un saluto da Bassano del Grappa Andrea De Gruttola per Italia giallabianca. — a Bassano del Grappa, Veneto.



Commento alla seconda tappa
spedito da: Andrea DG
Data: mercoledì, 7 agosto 2013 - ore 17:59


Oggi e' stata la prima "toccata" delle pendenze montane. La porta del B&B dava letteralmente sulla strada verso il passo del Falzarego @ 2105 slm. Siamo partiti "a' cruro" (ndt: privi di riscaldamento muscolare) per 15km al 8% di media pendenza salendo agli 8 orari di media, trascinando i nostri 20kg a testa su per le rampe come dei muli himalayani, senza sherpa pero'. Eppure siamo rimasti concentrati. Si scherzava finche' abbiamo potuto, dopodiche': Antonio trasfigurava a un paio di km dalla vetta, ingurgitata una barretta energetica, metteva il vuoto tra lui e me che stavo dietro e lo vedevo in progressione come un cavallo dopato al Grand Prix, di quelli da sopprimere una volta tagliato il traguardo. Riesco a richiamarlo all'ordine con un fischio alla Peter, presso un bar dove decidiamo di prendere un caffe' e, una volta preso, ribattezzando il posto "cafe' Lupin" a seguito dei 4euri e 20 centesimi pretesi come conto. Preteso lo scontrino e chiamato Zenigata per un blitz, riprendiamo fino al culmine, foto di rito sotto il cartello dopodiche' giu' in picchiata verso la gola di Mas nella quale ci caliamo come in una tanica di melassa. Il termometro sale a +38C e grazie ad un vento (contro) mitighiamo il clima. Pausa "pranzo" in un posto che non si ricorda neanche nostro signore. Nell'ordine: due panini di precompresso con dentro speck + formaggio non meglio identificato (Antonio), cotto + medesimo prodotto caseario di prima per il sottoscritto. Ci facciamo scattare una foto dal gestore dell'Oblivion e postiamo su FB scarsamente interessati all'effetto da operai da cantiere, in nero, provenienza fascia sub-sahariana, ovviamente privi di permesso di soggiorno. Ripartiamo per giungere a Mas e al nostro B&B con questo scenario: Mas e' un agglomerato di case e due pizzerie lungo la regionale verso Belluno. Praticamente la versione italo-moderna di un villaggio del far west. Ah, dimenticavo, ovviamente la gelateria Igloo con, al piano di sopra, le camere del B&B! Grandissimi (i gelatari intendo). Da sottolineare il tentativo di dialogo del gestore del B&B col sottoscritto mentre, in garage, io, cercando di risolvere alcuni problemi di compatibilita' elettromagnetica tra batterie cellulari e sistema uariless del tachimetro, venivo stimolato ad un commento sul manubrio stretto della sua scatto fisso. Il tutto intercalato da porconi piazzati li' a mo' di congiunzione: non dimentichiamoci che siamo sempre nell'alto Bellunese, leggere "veneto". Grandissimi anche loro (i veneti intendo). E questo oggi. Voglio dire soltanto che domani sara' il terzo e ultim ogiorno di alpi, poi entreremo per altrettanti giorni in piana padana dove ci aspetta un clima da foresta pluviale. Voglio dire che siamo saliti in sella sulla Vetta d'Italia con lo stesso spirito dei ragazzi che eravamo dieci anni fa sulle coste sicule: stesso piglio, stessa cattiveria da asfalto, stesse aspettative ed emozioni. Soltanto con due lustri di vissuto in mezzo: chi con famiglia formata, chi con una vita ri-spostata al nord da dove si era fuggiti, appunto, dieci anni fa. Ragazzi alle soglie dei quaranta, con ancora voglia di soffrire per un progetto di sfida personale ai propri demoni. Siamo in strada insieme ma "a vista" come si dice in gergo: cioe' a contatto visivo ma ognuno che sta sul proprio ring a stringere i denti, sentire la strada che si piega e darle spago o schiaffi e prenderli e sudare e spingere e imprecare e alzarsi dalla sella con le gambe che mutano forma e si trasformano in un fascio di nervi e tendini e muscoli e tutto ruota e gira in un'armonia che manco l'universo. E domani? E domani saliamo all'inferno. La' dove i soldati con la penna piu' famosi al mondo ne hanno fatto luogo sacro, il Monte Grappa, che se non ti servono il super alcolico al culmine, ti chiedono di salire per 20 e rotti km su pendenze che non le vogliamo neanche sapere. Il tutto dopo 30km "preparatori" sempre nella valle di melassa di Mas di cui sopra.
Cicloturisti, che gente.
Un saluto dal parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Andrea De Gruttola per Italia giallabianca. — a Mas, Veneto.



A Stefano
spedito da: Andrea
Data: martedì, 6 agosto 2013 - ore 17:55


E grazie, Stefano! Grazie mille.



Che dire...
spedito da: Mologni Stefano
Data: lunedì, 5 agosto 2013 - ore 9:6


Che dire... un'impresa bellissima! In bocca al lupo Andrea!!!



>>torna a casa...


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