Come sempre a Natale...
spedito da: Andrea
Data: martedì, 24 dicembre 2013 - ore 18:18
Mi piacciono le tradizioni, che poi è un modo più ufficiale e filosoficamente giustificabile di chiamare in altro modo le "abitudini", purchè coinvolgano popoli interi e non singoli individui. Mi piacciono perchè come ogni punto temporale che segni un periodo, diventano momento di riflessione, conti e bilanci. Come quelle che ci siamo messi a fare io e il mitico Giggino oggi a pranzo; seguendo appunto una vecchia "tradizione", abbiamo preso due pizze mignon dal sempre egregio Langella e ci siamo recati di fronte alla casa di Victor Hugo al centro storico per consumare il desco di passaggio all'abbuffata di stasera, anch'essa, di nuovo, come da "tradizione". L'aria era davvero dolce, cosa inusuale direi, col sole che ci ha permesso di toglierci i giubbini e sederci sul muretto che circonda un praticello a ridosso del teatro Gesualdo. Non è importante quello che ci siamo detti io e il mio interlocutore, anche perchè interesserebbe un cacchio a nessuno, bensì è il corollario del nostro discorso che diventa messaggio per quest'ennesima, stavolta per me, "tradizione" di scrivere due righe come augurio di buon Natale e fine anno. Quest'anno poi, vado a "siti unificati", il mio personale dove scrivo da sempre ed FB manco fossi il presidente di una repubblica delle Banane filosofiche. Ma tant'è, se sto sul social network è perchè mi interessa, diciamolo pure, condividere ciò che mi passa per la testa. Parlo dei tempi difficili nei quali respiriamo, con affanno e rabbia; di come essi abbiano permesso di ridurre al nocciolo le questioni, estirparle dei fronzoli per donarci un senso più vero ed essenziale. Andare dritti al punto, perchè non c'è tempo, nè voglia, di spiluccarci attorno prima di puntare al nocciolo. La piccolezza delle nostre misere guerriglie personali verso chiunque ci abbia causato rabbia e frustrazione. Escludendo palesi violazioni di leggi o di rispetto umano insindacabile, tutto il resto diviene davvero nulla di fronte alla solitudine che le difficoltà del vivere ci fanno abbracciare, nel disperato tentativo di difendere quisquilie esse stesse in-difendibili per natura. L'arroccamento sul proprio eremo a guardia di potenziali conquistatori che non si vedono lontano neanche col cannocchiale. Una manovra che in realtà non ci difende per niente ma ci rende vulnerabili ancora e di più a quel mostro mangia anime che è la povertà dei rapporti umani, con tutto ciò che di deleterio porta con sè'. La superficialità che ci contraddistingue nell'approccio, in quello studio ingiustificato cui si opta per capire e intuire per prevedere tempi semmai peggiori. E' un'invocazione alla semplicità, dico quella letterale, non la versione edulcorata di una complessità elevatissima degradata ai piani inferiori; intendo la consecutio del proprio filo interiore emozionale, la totale disattivazione di freni e barriere e meccanismi di sorta per limitare le velocità d'impatto tra le vite umane. E questo in qualsiasi ambito, lavoro, sentimenti e persino tra amici. Scusatemi, casco dal crinale dritto nella retorica spicciola e questo non è onesto. Evidentemente, la percezione tra un Natale e l'altro, e sto parlando di un anno intero porcaccia la miseria, è troppo risicata cosicchè mi ritrovo a scrivere queste righe con la sensazione d'aver già detto tutto. In realtà, sotto la riga tirata per la somma, non ho detto un bel niente. Lo dico prima di tutto a me stesso, dobbiamo fare il passo oltre la linea, mettere i piedi su terreni non familiari, sconosciuti, proprio quelli su cui non sappiamo muoverci, sperare che essi ci donino nuovi equilibri su cui appoggiarci. E poi riprendere a camminare, sempre senza dimenticare le "tradizioni".
Auguri, come si dice a chi è stato operato o a chi è stato promosso o ha chi a vinto. Fateci caso, gli auguri si dicono sempre a cose fatte, mai prima che esse accadono. Porta male, dicono, e allora: in bocca al lupo per il Natale e per l'anno nuovo.
Che è meglio.
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