SanV#2
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 14 febbraio 2014 - ore 23:55
La stazione è sempre piena. A qualunque ora, tranne nella notte inoltrata; a quel punto gli spazi si fanno vuoti e il silenzio scende sui marmi e sulle vetrate opache di smog e polvere di ferro. Tutto ha una pausa, in un eterno ricircolo di esistenze a dipanarsi in quello snodo creato dall'uomo, fatto di metalli e speranze, addii e lacrime, fine e inizio di percorsi, metafora perfetta dell'imperfetta umana ricerca dell'andare.
"Signore, scusi signore posso?" indica lei il posto a fianco di lui, sulla panchina di marmo.
Lui la guarda, educata e positiva, senza malizia, solo curiosità dipinta in volto. Giovane, forse non più di venticinque, chi può dirlo, trolley a seguito e sorriso bianco come il latte di alta montagna. Lui sospira, sereno, sposta il cappotto, le indica di sedere togliendosi il cappello, un borsalino fatto su misura, un gesto d'altri tempi.
"Grazie", dice lei e mentre siede lui alza gli occhi al cielo, verso le vetrate sozze che proprio non ci riescono oggi a contenere la luce del sole, così forte e inusuale per quella città. Un piccione grasso e appesantito plana insicuro da una trave puntellata ad un punto della stazione fuori dallo sguardo. Lui segue il volo dell'uccello per poi dedicare attenzione alla ragazza. Sa perchè ha chiesto di sedere; non è la prima, non sarà l'ultima. Lei finge di cercare qualcosa nella borsa, cercando di guadagnare tempo in un frangente che non lo richiederebbe; lui non deve andare da nessuna parte, come sempre da tanto tempo ormai. La gente sciama come torrenti di alta montagna, talvolta come fiume alla foce del mare. Brusii, stridii e fischi, l'intercalare degli annunci, la vita che va insomma. Finalmente, dopo qualcosa come una decina di minuti, lei prende coraggio.
"Ascolti, signore, posso farle una domanda?"
Lui si volta a guardarla dritta negli occhi e lei sembra trasalire.
"Ha visto vero? Tutti vedono al primo sguardo sa?" le dice precedendola con voce calma e profonda. I suoi occhi sono due pozzi scuri e senza fondo, con un luccichio potente sul fondo, lontano e impossibile da raggiungere.
Lei si aggiusta una ciocca di capelli dietro un orecchio. E' imbarazzata ma non intimorita, la curiosità la sta divorando da giorni ormai e, da buona giornalista qual'è, vuole sapere. Ma non per professione, o forse sì, dipende da quale storia quell'uomo abbia dietro. Non ha mai pensato fosse un folle o uno con qualche rotella fuori posto. E' stato l'istinto, lo stesso che la guida quotidianamente nella sua professione. Lui era ben vestito, mezza età, pulito, in ordine, con uno sguardo placcato di tristezza ma di quelle composte e severe, che non hanno più da temere nulla dal tempo. E soprattutto, tutto il giorno seduto alla stessa panchina e con un fiore in mano, una gerbera gialla con striature rosse sui generosi petali. All'inizio l'aveva appena notato, la mattina quando arrivava in centro per andare in redazione. E poi però lo aveva ritrovato al pomeriggio e talvolta alla sera. Impossibile essere una coincidenza. Aveva chiesto a dei suoi conoscenti che pure erano pendolari, di gettare uno sguardo alla panchina sul lato ovest e riportare se avessero visto lui, con il suo cappotto e il suo fiore in mano. E così era stato. A quel punto aveva deciso di passare all'azione.
"Io...sa, prendo il treno tutti i giorni per venire al lavoro e per tornare a casa. Sono di..."
"Lo so, lo so, lei va e viene e mi ha notato, prima ancora di vedermi. E così si è chiesta cosa facesse 'sto matto sempre seduto su questa panchina con un fiore in mano, a qualunque ora sempre lì. Giusto?" dice lui trasmettendo cordialità a dispetto di quell'apparente voglia di liquidare le sue aspettative.
Lei annuisce, come una ragazzina al primo appuntamento dove qualcuno le suggerisce le battute. Ma si riprende, acquista il piglio giusto, cerca di riprendere il controllo.
"Sì, tutto vero. E comunque non credo lei sia matto" dice sicura, sostenendo lo sguardo di lui fattosi d'un tratto ancora più pesante da sostenere.
Lui lascia che la testa ciondoli stanca quasi fin tra le ginocchia. Fa roteare il fiore tra le sue mani, lo guarda, sospira. La ragazza ha qualcosa di diverso dalle altre, ma nonsa dire cosa.
"Sono curiosa di sapere perchè è sempre qui, su questa panchina. Sembra quasi che stia...aspettando ecco. Ma chi, mi domando, è questa la vera domanda. Mia madre me lo ha sempre detto che la mia curiosità alle volte era invasiva e inopportuna ma sa, me la sono portata dietro e ne ho fatto una professione" dice ancora lei mostrando ancora i denti in un disarmante sorriso.
Lui si rialza per guardarla ancora, con ancora più attenzione di prima. Qualcosa sta cedendo dentro di lui. E' un attimo, lo riconosce a volo.
"Se tardi a trovarmi, insisti. Se non ci sono in nessun posto, cerca in un altro, perchè io sono seduto da una qualche parte, ad aspettare te..." declama lui con una perfetta interpretazione ma lei lo interrompe approfittando di una sua pausa impercettibile.
"...e se non mi trovi piú, in fondo ai tuoi occhi, allora vuol dire che sono dentro di te..." continua e termina lei scemando la voce come se ad un tratto tutto avesse preso un senso e si fosse diradata la nebbia che avvolgeva una casa sperduta.
"Questo è Walt Whitman..." annuncia lei ancora più emozionata in maniera aliena.
Lui annuisce senza smettere di far roteare il fiore. Afferra il cappello e si alza. Lei lo segue con lo sguardo, d'un tratto come inchiodata a quella panchina di marmo consunta dal tempo. E' un tipo alto, deve guardarlo dal basso per vederne il volto. Lui le porge il fiore. Lei è completamente in ambasce, quasi immobilizzata ma allunga la mano e prende il fiore per il gambo vellutato. Lui accenna un inchino in un gesto teatrale. Sorridendo, dice:"Credo sia giunto il momento di andare, arrivederci."
Lei lo vede voltarsi,calcarsiil cappello in testa e incedere in mezzo alla folla, senza scomporsi nè urtare nessuno, come un pesce perfettamente a suo agio nel nuotare in mezzo a quella corrente.
E la luce diviene ancora più forte, riempiendo lo spazio enorme della stazione, cancellando ogni ombra, stanando il buio degli anfratti affinchè tutto, ma veramente tutto sia chiaro. Come lo è per lei adesso, sebbene confusa e felice, d'un tratto, senza motivo. E sorridente, il volto rigato da lacrime spontanee e dolci, aperta e gioiosa di fronte a quel muro di luce calda e avvolgente. Mentre lui è scomparso sul fondo del palcoscenico della stazione, in una rappresentazione beffarda, reale e oltre.
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