Una storia
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 9 ottobre 2014 - ore 23:11
In principio era il crinale scosceso di un boschetto di pini, a terra un tappeto di aghi, odore di resina nell'aria, cielo di un azzurro d'altri tempi. Una bambina con una bambola in mano che sorride e condanna senza saperlo. Poi una stanzetta buia, madre curiosità e un videogame degli albori, una domanda innocente e una scoperta assoluta. Dopodichè è stata una casa al mare della costa cilentana, una spazzola nei capelli, un rifiuto frettoloso e popolare, salsedine ovunque, sabbia e pelle irritata. Ancora, passi nel buio, un parco comunale, il freddo del metallo della panchina sotto le gambe, denti che si urtano, sorrisi e poi lacrime, il fiato condensato nelle fughe a rotta di colla dalla collina al mare buio e cattivo in fondo. Si cambia in un nulla e sono stanze sconosciute, candele sul pavimento, chitarre e una ragazza in un angolo, capelli corvini e una voglia matta di cantare. Un tempo ancora e ci sono ancora chitarre, stavolta tetti, la musica che stria la notte e solleva emozioni, poi gite fuoriporta, paure nuove e sconosciute, commozioni inaspettate ed uno strappo nell'aria, deciso e pulito. Un passo oltre ed è un viale di sanpietrini, un braccio appoggiato, annunciato, un sorriso, muscoli tesi e strane vibrazioni, un divano in una sala in penombra, un gatto sulla schiena, poi l'oblio e poi più nulla. Si scivola, veloce, sulla fretta di una coincidenza che porta su una terrazza, il buio che ammanta, attese pesanti e crepe che sanno di uno spaccato troppo violento, laddove neanche un treno lungo centinaia di chilometri può richiudere. Un battito di palpebre ed è in mezzo ai monti, una storia che parla di paesi lontani, gente che annuisce, fogli di carta, quadri su un tavolo e una danza delicata e soave. Il pieno che avvolge, mura che iniziano ad un'esperienza di una bellezza straziante lungo direzioni spostate troppo ad est. Ancora un tic ed è un bar, un ragazzo che gira intorno, birre stanche e parole lanciate in aria, raccolte e riordinate; una moto, mani intrecciate sulla pancia, una curva, il nome di uno scrittore, due pezzi di metallo che si saldano, dolci di pasticceria conditi di assurdo che si fanno realtà dinanzi un film dell'orrore, carte di un fast food sul tavolo e un letto che sostiene la fine. Flash, si apre una porta ed è un albergo, un'ombra sul muro, una danza in silenzio, al di là della finestra lo stesso mare anelato in bicicletta anni prima e una montagna di ricci lasciati fuori dalla stessa porta. Il tempo avanza, il viaggio porta nella periferia di una città eterna, un balcone anonimo, passi felpati, forme morbide, una sigaretta verso il cielo, risate, un dvd e cibo nel centro commerciale, un quadro sospeso sul nulla, l'inconsistenza del momento, la fede nella percezione del contrario, una telefonata che porta dall'altra parte. Salto in avanti, a ridosso, chiacchiere scostanti, stilettate dialettiche, senza voltarsi, di fronte un concentrato di umanità che sa di tempi non nostri, traverse, locali, strade strette, mare, generosità, vai e vieni e vai ancora e rivieni e poi solo vai, con un angolo che chiude la prospettiva e stende il silenzio.
Un silenzio che è attorno ancora adesso.
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