Sindrome d'anzianità precoce
spedito da: Andrea
Data: lunedì, 25 aprile 2011 - ore 15:39
Mi sfrecciano i paesaggi ai fianchi, estenuante dopo questo mio ennesimo vai e vieni.
Giù con grande energia, datosi che il buonsenso avrebbe suggerito un riposante weekend. Niente da fare. Ma può mai esserlo un terrone certificato come il sottoscritto?
E così di nuovo giù. Alla stregua di un vecchio. Alla mia età non posso permettermi già il lusso di ricordare; c'è ancora tanto da fare, riflettere e andare a fondo. Non è onesto nei confronti della vita e del tempo, che pure s'è messo a correre come un disperato, fermarsi già a farsi irrorare da corrosive memorie. Legate, peraltro, ad elementi incredibilmente banali. Quelle che una volta erano "immagini scatto" favolosamente complesse, frutto di iperboli di ragionamenti altrettanto imperscrutabili, oggi sono improvvisi lampi di realtà senza elaborazioni.
Cosicchè, mi basta spostare lo sguardo sulle colline circostanti, ricoperte di fronde antiche e slavate, quelle che affondano le radici ai lati di quelle strade d'asfalto consunto che fanno da portale della malinconia. Perchè tutto parte da lì, da un percorso, che magari si snoda tra pendenze non impossibili, su superfici di bitume consunto, di quello che d'estate si scalda e frigge, mentre tu ricordi, appunto. Il mio problema sta tutto lì, agganciare a performance sportive personalissime tutto il corredo di attività ad esse più o meno collegate.
Il risultato è devastante. Al di là del fallimento dei rapporti umani, la loro labilità, sacrificati sull'altare dell'egoismo e del facile dolore, quello di cui non interessa indagarne la genesi perchè già noto e corrotto dall'odio, al di là di questo c'è la vita stessa che non lascia scampo, così come il suo complemento, la morte. Troppo presenti in proporzioni disoneste, scalfiscono tutto ciò che ci circonda, tutto ciò che amiamo e che c'ha dato spinta fino ad oggi. Probabilmente sono giunto a quel punto della vita nel quale bisogna sacrificare qualcosa, sapere mollare l'ormeggio, arrendersi agli attacchi della decadenza, che più tenti di tenere le cose in equilibrio più ti casca tutto a terra a frantumarsi in mille pezzi. Ecco perchè rimangono le strade e i loro ricordi: ancora una volta a sorreggerti, che se il primo acchito è la malinconia, la debolezza e la tristezza che tenta di soffocarti, poi emergi, perchè l'affronti e non fai finta di niente. Non volti lo sguardo come fanno i codardi e i pigri. Guardi in faccia ogni cosa, rischi la botta, affondi lo sguardo nell'abisso tanto perchè non hai paura di niente. Cerchi il conforto di chi, come te, non ha ancora sacrificato al massacro dell'esistenza i propri valori; gente che ci crede ancora, che lotta per trovare non il dolore dell'esposizione ma la felicità della conquista. Cosa ci sia da mettere sul piatto, lo sanno solo quest'ultimi. Gente fortunata dico io, gente che si perderà pure qualcosa, ma non credo tanto quanto guadagnano da pochi ma intensi momenti figli del rischio assolutamente non calcolato.
Qualche volta tremo alla potenza di questo confronto; come marcare se stessi ad ogni istante che allunga il tuo passato e stringe lo spazio del tuo futuro. Ma per fortuna, so cosa fare per essere ancora in corsa, non tirarmi indietro. Sebbene spiazzato, come tutti i trentenni della mia foggia, dalla scoperta sorprendente d'essere diventati parte della locomotiva della vita e non un fottutissimo, ultimo e trascinato vagone.
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