Buon anno.
spedito da: Andrea
Data: martedì, 31 dicembre 2019 - ore 19:1
Se ne sta per andare un decennio, non solo un anno. La cosa pare seria dunque, o no?...”Intensi” la parola che mi viene in mente per sintetizzare i dieci anni che stanno per essere messi a posto. Spero che lo siano stati altrettanto per voi, altroché.
Dunque gli auguri...due piaghe da estirpare per i prossimi dieci: ignoranza e solitudine. Per la prima, l’augurio è di averci a che fare il meno possibile, il che vuol dire, facendoci un giro, interagire il meno possibile con l’altro: per la seconda, l’augurio è di averci a che fare il meno possibile uguale, il che vuol dire interagire il più possibile con l’altro. Praticamente un corto circuito da premio Nobel.
Andiamo a sederci a tavola e scordiamoci chi siamo.
Con l’anno nuovo ne riparliamo.
Un abbraccio.
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Una panchina, a Napoli, una sera.
spedito da: Andrea
Data: sabato, 30 novembre 2019 - ore 19:52
Non sono avvezzo ai miti. Mi capita raramente di avere qualcuno o qualcosa a cui tendere in un qualche lato della sua sostanza; sono stato immune all'idolatria adolescenziale verso una qualche rockstar o un campione sportivo, insomma, nessun riferimento salvifico.
Ma il punto è che esistono anche le leggende, alle volte, e qui la faccenda cambia radicalmente. Queste ultime partono dalla realtà, ammantandosi di fantastico nell'approccio che ognuno di noi persegue verso quel nocciolo di essenza per farne propria strada da seguire, se non altro a cui rivolgersi quando l'incedere si fa greve. Io ne ho una su tutte, che parte da lontano, su una lastra di marmo scadente fatta panchina, in una strada trafficata del quartiere di Fuorigrotta, Napoli, in una serata tardo primaverile dal clima mite, con la luce itterica dei lampioni al sodio a rischiarare la scena; un occhio di bue sul nostro personalissimo palcoscenico. L'avevo conosciuto ad una festa, una delle tante che si tenevano regolarmente ora a casa di uno, ora a casa di un altro. Un gigante buono, subito m'era parso; simpatico, amico di tutti, maestoso, un catalizzatore insomma. Io volevo entrare in quella aura, volevo essere parte della "squadra", essere uno dei loro, appresso quel capitano nato, trascinatore vulcanico di noialtri giovani studenti nel pieno del caos della formazione. Ed era andata così, ero stato accettato nel gruppo e mi ero saldato a quel plotone di ragazzi che sarebbero stati gli uomini di un domani incerto.
Su quella panchina c’eravamo ritrovati per caso, dopo ormai un anno di amicizia e di discorsi densi e di esperienze. Ed anche quella volta era parlare, la cosa che ci teneva seduti su quella panchina, a tardare senza una reale fretta che ci spingesse a tornare a casa. C’era una catarsi potentissima in quel confronto, la convinzione inspiegabile che tutto ci fosse chiaro e che avremmo esattamente fatto quello che era giusto fare, nonostante nessuno dei due avesse la più pallida idea di cosa fosse “giusto”. Eppure funzionava, il confronto, il più delle volte centrato sugli universi emozionali che mettevamo rispettivamente in disperati afflati sentimentali nelle mani di donne che avrebbero, inevitabilmente, amato altri. Ma quella sera, quella luce, quell’aria, testimoniarono il momento più sublime della nostra formazione di uomini, il punto forse più vicino alla comprensione delle nostre vite, di quelli che sarebbero stati gli anni a venire. Eravamo come soldati in guerra, ma senza il fragore delle armi, nè l’angoscia della morte: i nostri nemici, se di nemici si poteva parlare, saremmo stati solo e soltanto noi stessi.
Oggi, in questi tempi ovattati, dopo più di vent’anni da quella sera, da quella panchina, constato duramente di rivedere troppo di rado quell’uomo, immutato nella sua maestosità, consegnato definitivamente alle severità del tempo, come tutte le leggende che si rispettino; divenuto serioso nell’incidere, talvolta anche nel parlare, me lo ritrovo davanti ad una birra di questo anonimo centro commerciale di Bologna, dove abbiamo ritagliato del tempo prezioso dalle nostre indecifrabili ansie lavorative pur di marcare il tempo, di dirci ancora che ci siamo, che il presente non aderisce propriamente a quei piani fatti su quella panchina e che ciò nonostante siamo fieri di poter ancora trarre potenza dai nostri confronti. Le pause tra noi si sono dilatate negli anni, oggi fattesi densi silenzi che valgono più di mille concetti. Ma ci siamo ancora e sappiamo bene a cosa ci riferiamo quando parliamo, non l’abbiamo mai dimenticato.
Come un riferimento per migliorarsi, un faro sul punto più alto di una scogliera mentre le navi sono in ambasce, il nord della bussola.
Una leggenda, appunto e ognuno di noi dovrebbe averne una così.
Un amico così.
Dedicato a Gennaro Capone
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Sussurrare.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 14 novembre 2019 - ore 21:21
-Sussurri ancora nei ristoranti?
-Come sarebbe a dire?
-Hai capito bene...
-Mmh...lo faccio solo in quelli delle città di provincia.
-Dunque non sei cambiato affatto.
-E perché, avrei dovuto?
-Non sta a me dirlo. Solo me lo faresti un piacere?
-Se posso...
-Va’ a mangiare da qualche parte e parla a voce alta, vedrai che ti farà bene.
-Ok, se lo dici tu...
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Radan.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 7 novembre 2019 - ore 22:19
[...]
Sai cosa Alfred? Entrare d’improvviso nella vita di qualcuno, con o senza delicatezza non importa, è come ritrovarsi nel bel mezzo di un campo di battaglia, non so, mi vengono in mente la Somme o il fronte italiano, una roba così. E mentre stai ancora capendo come tu ci sia capitato in mezzo a quel conflitto, ti centra in pieno una pallottola sparata da un soldato che combatte una guerra che non ti appartiene. E tu ci crepi su quel campo, incredulo, perchè non era questo ciò che stavi cercando quando ti ci sei trovato sopra. Questo vuol dire interagire con gli altri, entrare in un conflitto anche se non era un’opzione minimamente contemplata. Ed è quello che ho fatto con Silviya, entrare così, senza avvertire, nella sua vita, delicato per carità ma senza essere neanche riuscito a sopravvivere quel tanto che bastava per darle spiegazioni, non me ne ha dato il tempo. D’altronde Maclaren, maledetto scozzese, che Dio l’abbia in gloria, l’aveva già detto che bisogna essere gentili con chi si incontra perchè quest’ultima sarà sicuramente impegnata in una qualche battaglia di cui non si sa niente. Proprio come ti ho scritto io Alfred, esattamente come ti ho scritto io.
Dimmi di te, non mi hai ancora risposto ed io ti ho ancora una volta preceduto.
Ti abbraccio.
R.T.
Radan Teotgaldreu, “Lettere del periodo praghese”.
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Cit.
spedito da: Andrea
Data: martedì, 29 ottobre 2019 - ore 21:5
[...]
Il miglior favore che ci si può fare in un momento di crisi è di non fingere che le cose vadano benissimo e che un milione di progetti ti aspettino. Ho sempre trovato patetica questa cosa.
[...]
Mario Calabresi, "La mattina dopo".
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Un amore di Salinger.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 20 ottobre 2019 - ore 19:38
Quanto mi sei mancato, maledettissimo genio...
[...]
Guardandola dritto negli occhi, le disse:Da adesso, voglio passare ogni notte della mia vita con lei. Sono sincero. Ogni notte della mia vita.
Agnes ci credette. Si sposarono entro l’anno. Ricordatevi bene la frase: funziona con le ragazze romantiche, con le letterate e con le squilibrate. Inutile attendere prima di dichiarare il vostro amore. Con queste folli, occorre esprimere in fretta il proprio desiderio, prima di diventare un amico asessuato ed essere fottuto per sempre.
[...]
Frederic Beigbeder, Un amore di Salinger.
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Sul treno (ci risiamo).
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 18 ottobre 2019 - ore 12:6
POST LUNGO (per onestà intellettuale...)
Proviamo ad alleggerire andando rigorosamente per ordine.
Sono su un treno a lunga percorrenza (scenario paragonabile a quello di un piromane a zonzo in un bosco in pieno foliage con un paio di taniche di benzina) dove la condivisione inevitabile (e forzata) degli spazi, genera mostri da mitologia scandinava.
Livello 1:
Ad ogni stazione un annuncio in perfetto italiano, senza inflessioni di sorta nè termini dalla semantica proibitiva, invita (perchè questo è il verbo utilizzato) i passeggeri a silenziare i dispositivi elettronici e abbassare il volume della voce nel rispetto (giuro su dio che usa il termine “rispetto”) degli altri disgraziati (questo invece lo uso io) presenti sul medesimo mezzo di trasporto.
Ora, il fatto di “invitare” e non “imporre” all’italiano (e qui non serve distinguere tra “medio” e non) una sacrosanta azione nell’alveo delle piu’ elementari regole del vivere civile, lasciando la scellerata opzione della “scelta” (come se il concetto del silenziare sia opinabile) è già di per sè un errore madornale, da principianti oserei dire. Evidentemente, aggiungo io, il meccanismo di silenziamento è pratica da premi nobel: deve essere di una complessità propria delle menti elette, spingere quella levetta laterale verso il basso e compiere un’operazione dalle immonde difficoltà.
Detto questo, le conseguenze sono perfettamente immaginabili: credo che neanche nel laboratorio di Test della Eppol o della Samsung o della Uauei abbiano una tolleranza al rumore simile a quella necessaria a rimanere sereni e seduti al proprio posto. I decibel delle suonerie raggiungono livelli paragonabili ai martelli pneumatici utilizzati da energumeni basici in cantieri da grandi opere, con la differenza che tu non hai le cuffie fono-assorbenti che hanno gli operai in ottemperanza a norme basilari di sicurezza sul lavoro. Se ti va di lusso, il tema è un estratto di qualche opera sinfonica (dopo Bologna ho apprezzato i Carmina Burana nel passaggio piu’ noto) ma se sei particolarmente sfigato, allora ti becchi un segmento di qualche decerebrata pop-star attuale (e qua il ventaglio del mezzo di tortura avrebbe solleticato l’interesse di Torquemada).
Dopodichè, la fenomenologia spazia nelle direzioni piu’ suggestive.
Telefonino che squilla. La suoneria è un tema pre-caricato che si rifà ad un eccitantissimo sitar indiano (dunque siamo nel mezzo degli estremi descritti sopra). Il suono è attutito il che ti fa capire che l’oggetto può essere: o in tasca (tempo medio di accesso, qualche secondo) o in una borsa o zaino (e qui i tempi di accesso diventano un terno a lotto, dipendentemente da chi è il ravanatore: uomo di mezza età con zaino da adolescente - come il sottoscritto o signora/signorina con la propria borsa...e vabbè...)
Estratto il cellulare dai recessi appena descritti, avviene l’impensabile: l’astante, in apparente stato catatonico, fissa lo schermo come se l’invito alla comunicazione arrivasse da un qualche alieno pianeta sconosciuto di un’altrettanta sconosciuta galassia. E via altri interminabili secondi dove i decibel continuano indisturbati a fracassare l’aria e tu devi cambiare posizione da seduto perchè le tue palle stanno raggiungendo volumi non compatibili con l’ergonomia umana. Intanto, nell’affollata agorà neuronale del destinatario della chiamata fioccano i dibattiti, i dubbi, gli interrogativi, come se dalla risposta dipendessero le sorti della nostra civiltà. E il tempo passa e tu lo vedi, in lontananza, in rapido avvicinamento, il limite oltre cui ogni decenza e buona educazione non hanno ragion d’essere e la pazienza è polvere come quella dei ripiani alti delle pareti attrezzate. Segretamente lo brami e sei lì per dar libero sfogo a tutti i tuoi istinti piu’ sociopatici quando il tizio/a, presa l’epocale decisione gravida di conseguenze, risponde.
E qui scaliamo al,
Livello 2:
Al di là del MeltinPot dialettale, tipico dei mezzi di trasporto che congiungono punti estremi del paese (tema già affrontato in altri scritti e dialoghi a sfondo ferroviario), vorrei soffermarmi sul contenuto delle conversazioni.
Mi rendo conto che temi come quelli della complians o del recente giddippierre o in generale la piu’ elementare praivasi, restano materie ignote al cittadino italiano (anche qua indifferenziato), al pari di teorie come la Relatività di Ainstain o dei Buchi Neri di Oching; e dunque ci si ritrova catapultati senza possibilità di scampo, in uno sfavillante, effervescente, per certi versi anche morbosamente affascinante festival dei cazzi altrui al quale, superato indenne il Livello 1, ci si ritrova a partecipare con ipocrita, malcelata curiosità.
Il bestiario è ricco e variegato.
Si va dall’uomo di affari che romanza una trattativa (probabilmente mai intavolata davvero) al pari della manovra finanziaria del governo, il tutto, ovviamente, con studiato lessico e tono baritonale per colpire la milfona seduta di lato che, in uno sforzo sovrumano, sta usando la limitata capacità cognitiva per seguire il paesaggio che si srotola velocemente fuori dal finestrino. La cosa inspiegabile, che non trova conclusione razionale, è che dopo minuti interminabili di vuoto-cosmico verbale a senso unico, dopo aver eviscerato la qualunque, il sedicente menager chiude la conversazione frettolosamente promettendo di richiamare il suo interlocutore perchè, cito testualmente, “sul treno non prende bene”...
Altro elemento tipico è lo studente. Chiaramente il punto sul quale gravita e orbita la sua esistenza è l’ Esame. Prova, quest’ultima, che allarga l’ambito valutativo non solo alla materia accademica (qualunque essa sia) ma diventa passaggio generazionale, di formazione oserei, per future ossessioni da sciorinare sul divano di qualche psicanalista in età piu’ matura. Dunque la conversazione è tutto un fiorire di termini tecnici, rimandi a testi ufficiali classificati a mo’ di versetti biblici (eg: Prof Pincopalla 4:12), giudizi coloriti e poco rispettosi sugli stessi docenti (in barba ai concetti di praivasi citati in precedenza) con una coda enumerativa sulle derrate alimentari presenti nella dispensa della casa (rigorosamente condivisa con altri “detenuti”) perchè sia mai detto che lo studente fuorisede resti a secco. I sospiri, utilizzati come intercalare scenico, sono numerosi e accompagnati da pose e movimenti provenienti direttamente dall’Accademia di Arte Drammatica.
La telefonata da inciucio: è la forma piu’ sublime e sofisticata della nobile arte dello sputtanamento. Avviene nel novantanove percento dei casi tra interlocutrici (puro dato statistico). Lo spettro di frequenze della voce, alterata dai toni teatrali con i quali vengono enfatizzati i momenti topici, hanno i tratti caratteristici delle piu’ terribili torture cinesi. La tecnica, il cui fine è rendere edotta la platea di tutta la vicenda al centro della discussione e dei suoi protagonisti, ha una sofisticazione da codice di agente dei servizi segreti oltre che utilizzare sublimazioni inconsce che neanche Froid. Senza mai fare considerazioni esplicite, utilizzando monconi di nomi, soprannomi e cognomi camuffati, piazzando qua e là sorrisini, “oooohh” di sorpresa, “ma dai”, “non ci credo”, “non è possibile”, “no vabbè”, “sei seria?”, condendo il tutto con gestualità opportune (anche queste da Actor Studio) e in ultimo geolocalizzando il tutto, tu, anche se la vastità del cazzo che te fregava avesse raggiunto livelli astronomici, anche se ti fossi distratto per qualche secondo, ti ritrovi d’un tratto coinvolto in una storia di cui ormai sei succube tramite un’empatia che non credevi neanche di avere.
Ed anche qui i sospiri non si contano, accompagnati però da volti sardonici e anche qui, il finale di conversazione si presta alle piu’ ardite speculazioni: chiusa la telefonata, a schermo ormai spento, l’interlocutrice lo fissa con un sorriso da madre amorevole, passando compulsivamente le dita sul vetro per ripulirlo da invisibili tracce come un assassino maneggia l’arma del delitto.
Ultima ad essere presa in esame è la conversazione a tecnologia “ibrida”. Qui si sale al,
Livello 3:
Nonostante il termine rimanderebbe a paralleli automobilistici, qui, se possibile, la questione è un “filino” ancora piu’ complessa. Innanzitutto, il Livello 1 avviene in prossimità di gallerie, zone montagnose, o in generale dove il campo della rete cellulare scarseggia, la qual cosa, come potete immaginare, rende il Livello 1 ancora piu’ lungo e complicato: uno stillicidio di “pronto? Pronto? Pronto?”, sospiri, sguardi al cellulare allontanandolo dall’orecchio e osservandolo con riprovazione, come se all’interno del manufatto tecnologico ci fosse uno spiritello maligno che zompettando tra un circuito e l’altro impedisca lo svolgersi regolare del dialogo. E invece è proprio in questo che il Livello 3 si estrinseca magicamente: in realtà la scarsità di campo è l’humus, il brodo primordiale dove l’utente sviluppa manualità circensi. Gli strumenti a disposizione sono: chiamata regolare, whatsapp nella forma testuale e, soprattutto, nel messaggio vocale, Messenger, Instagram, Feisbuc e, laddove la situazione lo richieda, perfino l’imeil. Come in un protocollo di comunicazione di ultima generazione, la conversazione viene spacchettata con differenti percentuali (a seconda delle predisposizioni attitudinali del soggetto) riferite ai differenti mezzi utilizzati e citati precedentemente.
In una gragnola di ping e ting e ding pre-caricati nel cellulare come alert per l’arrivo delle varie messaggistiche, si assiste a telefonini messi di traverso davanti la bocca per mandare messaggi vocali laddove il campo sia nullo (il soggetto si è preventivamente loggato al uaifai del treno il cui funzionamento è già di per sè una tortura). Digitazione di messaggi di testo a velocità elevatissime che darebbero filo da torcere anche agli stenografi di Montecitorio; velocità rese possibili da tecniche di digitazione all’avanguardia, dove la teoria del pollice opponibile trova moderne e mai esplorate chiavi di lettura. Addirittura, laddove necessario, il Selfi, utilizzato come strumento di sintesi di concetti altrimenti impossibili da esplicitare a parole. Il tutto, ed è questo l’altro talento richiesto al conversante “ibrido”, senza mai, e sottolineo “mai” perdere il filo del discorso. Il risultato, prevedibile, è portare a termine la conversazione nella stessa spossatezza mentale di Kasparov dopo il campionato del mondo di scacchi a tavoli multipli.
Ho sicuramente lasciato fuori qualcosa o qualcuno ma concludendo: difendere i cazzi propri, evitare lo sfruculiamento della pazienza altrui, raggiungere nuovi livelli mai sperimentati di educazione “togliendo le suonerie” (“silenziare” potrebbe risultare radical scic) e soprattutto, laddove inevitabile, rispondere portandosi nell’area tra le carrozze o parlando con un volume di voce non necessariamente da attore teatrale, davvero è impresa così ardua?
Maledetti bastardi...
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Vetri.
spedito da: Andrea
Data: sabato, 12 ottobre 2019 - ore 17:32
[...]
La vorrei afferrare di nuovo quell'adolescenza ma non per "rifare" o "non rifare", nossignore, soltanto per ascoltare meglio, vedere meglio, odorare meglio, insomma, avere più attenzione ai dettagli. In un epoca in cui, irrazionalmente, percepivi l'imminenza passeggiando nell'odore umido dei viali autunnali di notte o in un vetro appannato dal vapore della cucina di tua madre per cena.
[...]
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Spreco.
spedito da: Andrea
Data: martedì, 27 agosto 2019 - ore 21:50
I sentimenti hanno energia, come una qualsiasi altra fonte in natura.
Non sappiamo sfruttarla, questo è un fatto. Pochi possono smentire l'assunto ma pochi davvero.
Il frigo aperto, l'aria condizionata con le finestre spalancate, un fuoco acceso senza niente attorno, l'acqua da un rubinetto rotto...pedalare controvento.
Li definiamo "sprechi", così ci esprimiamo.
Pensate adesso ad un cuore che batte senza nessuno a prenderne il ritmo.
Lo definiamo "peccato", così ci esprimiamo...
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Quando anche l'ultima foglia si è posata dopo la tempesta.
spedito da: Andrea
Data: lunedì, 19 agosto 2019 - ore 13:49
Ci realizziamo attraverso la fatica, questo è tutto: di più, ci completiamo. E allo stesso tempo “confessiamo” a noi stessi che stiamo vivendo. È la nostra dimensione, a cavallo di disparati metalli ci sono le nostre carni, le nostre ossa, le nostre anime. Siamo incomprensibili e incompresi ma di fondo non ci interessa molto. Il tracciato detta la legge, di qualunque superficie, la pendenza certo, le curve e i rettilinei, il cielo, il vento, la luce, l’oscurità. Siamo essere umani, nè giusti nè sbagliati, non giudicate le nostre dimensioni, noi non lo facciamo, mai. Le nostre vite sono ordinarie, senza professionismo, pacate e rette, come le vostre. Sorrideteci, perché di questo abbiamo bisogno, una moneta di scambio senza eguali, che può decidere il destino di un’intera giornata.
Siamo ciclisti ma di un livello romantico, oltre ogni luogo comune, oltre ogni cliché, oltre.
O “ultra”, come siamo stati classificati da qualcuno.
Che ci piaccia o no, questo siamo, orgogliosi e testardi, indistruttibili, fino alla morte.
Andrea DG #tcrno7cap6
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Considerazioni (saluti e ringraziamenti).
spedito da: Andrea
Data: martedì, 13 agosto 2019 - ore 13:29
L’immagine simbolo è quella in alto: lo sfinimento concretizzatosi al traguardo. Uno smantellamento progressivo di ogni cordone di sicurezza fisico e mentale, sfaldatosi km dopo km, radicalizzatosi in un finale grottesco e imprevedibile. Un’edizione di livello elevatissimo, sia nel concept del percorso che nelle variabili meteo, nonché nella qualità dei partecipanti. Questo non fa altro che solidificare la soddisfazione di essere arrivato alla fine, classificato, migliorato nell’esecuzione e nell’esperienza, elevato nello spirito e nella coscienza del sè più profondo.
Un rapporto con la bicicletta che ha raggiunto livelli estremi, sebbene ancora perfettibili, come tutte le faccende umane.
I ringraziamenti vanno in ordine sparso per non far torto a nessuno sebbene il primo fa tutti resta il mio personalissimo DS: @robertostrasserra che al solito ha eseguito magistralmente il ruolo di mentore, facendo molto e di più per tenere il morale alto anche nei momenti più critici. Senza di lui non avrei portato a termine il compito.
I ragazzi di @stelbel_official che mi hanno permesso di legarmi ad un mezzo che è stato perfetto: #SerendipiTi, una Ti9 che è stata una estensione naturale del mio corpo.
Il NOK, riconfermato ancora, @forrest13 che con la solita ironia di classe, ha pungolato quando necessario, vegliando comunque sull’eventualità estrema che non s’e fortunatamente presentata.
I ragazzi del gruppo Freaklimbers per il supporto incessante via messaggi vocali e non, così come i miei amici storici divisi in gruppi a vario titolo e tema, che ogni mattina e in ogni momento intervenivano con incitazioni di sicuro effetto.
Una menzione speciale va agli uomini che hanno condiviso la battaglia dell’anno scorso e che quest’anno hanno fatto esperienze ciclistiche differenti: ho una menzione speciale per @br1hatecrew che so avrebbe voluto esserci per applicare quanto appreso l’anno scorso e per non aver potuto avere l’occasione di dimostrare il suo valore (così come ho potuto fare io). Ci sei mancato, questo è poco ma sicuro.
Last but not least, the @thetranscontinental team, for all the efforts in keeping Mike’s legacy. Mission accomplished!
Si chiude qui.
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Sempre e per sempre.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 11 agosto 2019 - ore 18:58
Always inspiring and pushing me to the finish line. Forever Mike.
Thanks to @darren_franks & @hukovesl to let me get the sticker.
#bemoremike #ride4mike #TCRno7 #tcrno7cap6
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Finita!
spedito da: Andrea
Data: sabato, 10 agosto 2019 - ore 12:37
E così ho chiuso anche quest’anno. Il post di ringraziamenti arriverà più tardi... adesso vado a nanna!
#TCRno7 #tcrno7cap6 #stelbeltelai #serendipiti #bemoremike #ride4mike @ Brest, Bretagne
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La quiete prima della tempesta.
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 26 luglio 2019 - ore 20:3
Probabilmente deve essere questo il primo risultato della disciplina e della pura applicazione: questa tensione che fa vibrare la carne, le ossa, l’anima, prima che tutto si scateni e si compia; prima della strada, del sudore, del sole, della pioggia, del vento, della fatica, della stanchezza, del dolore, della gioia, delle lacrime, della fame, della sete, del sonno, delle speranze, delle paure, dei desideri, dei calcoli, degl’imprevisti, dell’esito. Un passaggio, voluto e perseguito, che ci elevi come esseri umani, che ci porti ad un livello superiore di consapevolezza. Questo inseguiamo noialtri in sella senza fine e non chiediamo comprensione perché per farlo, dovrebbe essere chiaro anche a noi ciò che andiamo cercando. Quello che invece sappiamo, l’unica, è che da domani mattina, un manipolo di uomini e donne straordinarie si sparpaglieranno per il vecchio continente, sognando la Bretagna, metro dopo metro, pedalata dopo pedalata. Si inseguiranno alla luce del sole rovente o nel buio della notte dietro un lampeggiante rosso fuoco, malediranno d’essere dove sono e allo stesso tempo godranno la beatitudine dei giusti. E tutto prenderà forma, tutto avrà un senso.
Io sarò tra quelli, privilegiato, ancora una volta.
Non vorrei essere da nessun’altra parte.
Sono un uomo fortunato, non smetterò mai di ripeterlo.
“Nulla che abbia un qualche valore, è mai facile da realizzare.”
Mike Hall 1981-2017
#tcrno7 #tcrno7cap6 #bemoremike #Ride4mike #SerendipiTi #StelbelTelai
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Prima di andare.
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 26 luglio 2019 - ore 12:24
Forever and beyond.
#TCRno7 #tcr #tcrno7cap6
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Maestro.
spedito da: Andrea
Data: mercoledì, 17 luglio 2019 - ore 21:13
In principio fu la Novella di Verga: Malaria. Il giallo del grano, il bianco delle rocce e il blu del mare e del cielo. Una trinacria consegnata all'austerità dei programmi didattici, nient'altro. Dopodichè arrivò Lui, con tutta la "sicilitudine" sciasciana che fece sua, elaborata e ammodernata, pregna di un amore che non poteva lasciarti immune. Mi arrivò fino ai recessi dell'anima, mi spinse in bici lungo il periplo isolano per oltre mille chilometri nell'estate del 2003, quando tutto cambiò e nulla rimase come prima.
Solo per vivere quei luoghi, sentirli miei, immergermi in una terra che mi avrebbe preso per sempre.
Addio Maestro, per sempre e oltre.
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Un progetto di famiglia.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 30 giugno 2019 - ore 14:49
Tutti giù per lo stivale, da Bergamo ad Avellino, da casa a casa.
#tcrno7training #tcrno7cap6 #ride4mike #bemoremike #stelbeltelai #serendipiTi
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Il numero.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 27 giugno 2019 - ore 23:13
Stesso numero. Pensavo ci fosse una logica diversa dietro, probabilmente mi sbagliavo. L’orgoglio è intatto, semmai accresciuto. Non sarà Geraardsbergen ma Burgas, ma sarà l’unica differenza...andiamo, andiamo, andiamo!
https://www.transcontinental.cc/tcrno7-riders
#tcrno7cap6 #ride4mike #bemoremike #serendipiTi #stelbeltelai
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The same number. I thought to a different reason behind, I was probably wrong. The pride is untouched, if anything grown. It won’t Geraardsbergen but Burgas and this will be the only difference. Let’s go, let’s go, let’s go!
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A meaning...
spedito da: Andrea
Data: mercoledì, 1 maggio 2019 - ore 19:16
“Racing … has been a transformative experience for me in so many ways and in some way has
touched almost everything I have done since. The trail might take the body to the physical place;
covering vast distances through wild open and desolate landscapes alive with wildlife, changing
before your eyes. The race however, the thrill of the chase, the potent cocktail of adrenaline,
endorphins, fatigue, stress and finally relief takes the mind to quite another. The personal satisfaction,
confidence and empowerment from the achievement lasts a lifetime. For me this combination is
untouchable.”
Mike Hall (1982 - 2017)
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Ti ricorderò...
spedito da: Andrea
Data: lunedì, 8 aprile 2019 - ore 8:40
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Un ricordo che cambia le cose.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 31 marzo 2019 - ore 19:11
Due anni fa, un incidente metteva fine ad una leggenda. Per me, un prima e un dopo nel modo di rapportarmi alla bicicletta: nulla sarebbe stato più come prima. Il mito è ancora vivo, l’ispirazione anche. Per sempre Mike.
#bemoremike #ride4mike #ilTramite #tcrno7training #beinspired
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Two years ago, a car killed a legend. For me, before and after in the way to ride: nothing would have been as before. The Myth is still alive, the inspiration too. Forever Mike.
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