Avanti il prossimo.
spedito da: Andrea
Data: martedì, 31 dicembre 2013 - ore 15:19
"Posso entrare?" mi ha chiesto gentilmente.
"Che vuoi?" gli ho risposto senza entusiasmo, lasciando la porta socchiusa mentre già mi dirigevo altrove.
"Niente, solo salutarti, sto per andarmene e così, sai, un saluto...insomma, siamo stati insieme per un anno ormai e non mi sembrava bello sparire senza prima fare due chiacchiere."
"Non ho niente da dirti, lo sai, ragion percui sprechi tempo. Ti mancano poche ore, impiegale al meglio. Qui c'è poco da fare." Ancora non avevo avuto la voglia di guardarlo in faccia. Lui si è girato un po' a registrare l'ambiente attorno, più per riflesso che per vero interesse (l'ho visto nello specchio del salone). Poi ha sospirato, si è guardato la punta delle scarpe, mi ha detto:"Ho fatto del mio meglio lo sai, non puoi accusarmi di nulla. Io non posso fare altro che darvi tempo, non posso intervenire nelle vostre faccende, solo il tempo posso darvi, quello sì."
Mi sono voltato. L'ho fissato con una punta di rammarico.
"Ascolta, sono stanco, tutto qua, non ce l'ho con te anche perchè avrei da ridire sui miei comportamenti almeno quanto le bestemmie alla malasorte che ho tirato. So benissimo di essere corresponsabile delle mie frustrazioni ma sai, non è mai facile prendersela solo con se stessi, più facile trovare un poveraccio da prendere a calci."
"E sarei io quel poveraccio?" si è indicato il petto con l'indice sorridendo amaro.
Io ho fatto cenno di no con la testa; in realtà ce l'avevo un po' con lui, come con tutti gli altri prima di lui. Come ce l'avrò con quelli che verranno, o forse no. Come ce l'ho con me stesso.
"Ascolta, prima che te ne vai: si sa qualcosa di quello nuovo?" gli ho chiesto con malcelata curiosità frettolosa. Per un attimo mi è sembrato quasi di mancargli di rispetto. Assurdo.
"Che domanda...fate tutti la stessa domanda. Suppongo tu l'abbia fatta anche l'anno scorso, a quello prima di me vero?"
"Hai ragione, è una domanda stupida e sì, l'ho fatta anche all'altro prima di te."
"Già, posso immaginare."
Siamo rimasti in silenzio per qualche secondo. Poi lui si è congedato.
"Vabbè, volevo solo dirti che ho fatto del mio meglio, tutto qua."
"Lo so, lo so bene. Ho fatto del mio meglio anch'io."
Ha aperto la porta. Si è infilato il cappello. Poi si è voltato un attimo prima di sparire.
"Andrea?"
"Dimmi"
"Cerca di essere meno duro con quello che sta arrivando, d'accordo?"
L'ho guardato dritto negli occhi con le armi deposte.
"Lo farò, cercherò di cambiare le cose."
"Ecco bravo. Addio."
"Addio."
E la porta si è chiusa con delicatezza mentre nel vuoto dello spazio intorno, ho cercato di pensare alle cose da fare col nuovo anno. Con quello che stava arrivando.
In fin dei conti hai davvero fatto del tuo meglio, DuemilaTredici.
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Come sempre a Natale...
spedito da: Andrea
Data: martedì, 24 dicembre 2013 - ore 18:18
Mi piacciono le tradizioni, che poi è un modo più ufficiale e filosoficamente giustificabile di chiamare in altro modo le "abitudini", purchè coinvolgano popoli interi e non singoli individui. Mi piacciono perchè come ogni punto temporale che segni un periodo, diventano momento di riflessione, conti e bilanci. Come quelle che ci siamo messi a fare io e il mitico Giggino oggi a pranzo; seguendo appunto una vecchia "tradizione", abbiamo preso due pizze mignon dal sempre egregio Langella e ci siamo recati di fronte alla casa di Victor Hugo al centro storico per consumare il desco di passaggio all'abbuffata di stasera, anch'essa, di nuovo, come da "tradizione". L'aria era davvero dolce, cosa inusuale direi, col sole che ci ha permesso di toglierci i giubbini e sederci sul muretto che circonda un praticello a ridosso del teatro Gesualdo. Non è importante quello che ci siamo detti io e il mio interlocutore, anche perchè interesserebbe un cacchio a nessuno, bensì è il corollario del nostro discorso che diventa messaggio per quest'ennesima, stavolta per me, "tradizione" di scrivere due righe come augurio di buon Natale e fine anno. Quest'anno poi, vado a "siti unificati", il mio personale dove scrivo da sempre ed FB manco fossi il presidente di una repubblica delle Banane filosofiche. Ma tant'è, se sto sul social network è perchè mi interessa, diciamolo pure, condividere ciò che mi passa per la testa. Parlo dei tempi difficili nei quali respiriamo, con affanno e rabbia; di come essi abbiano permesso di ridurre al nocciolo le questioni, estirparle dei fronzoli per donarci un senso più vero ed essenziale. Andare dritti al punto, perchè non c'è tempo, nè voglia, di spiluccarci attorno prima di puntare al nocciolo. La piccolezza delle nostre misere guerriglie personali verso chiunque ci abbia causato rabbia e frustrazione. Escludendo palesi violazioni di leggi o di rispetto umano insindacabile, tutto il resto diviene davvero nulla di fronte alla solitudine che le difficoltà del vivere ci fanno abbracciare, nel disperato tentativo di difendere quisquilie esse stesse in-difendibili per natura. L'arroccamento sul proprio eremo a guardia di potenziali conquistatori che non si vedono lontano neanche col cannocchiale. Una manovra che in realtà non ci difende per niente ma ci rende vulnerabili ancora e di più a quel mostro mangia anime che è la povertà dei rapporti umani, con tutto ciò che di deleterio porta con sè'. La superficialità che ci contraddistingue nell'approccio, in quello studio ingiustificato cui si opta per capire e intuire per prevedere tempi semmai peggiori. E' un'invocazione alla semplicità, dico quella letterale, non la versione edulcorata di una complessità elevatissima degradata ai piani inferiori; intendo la consecutio del proprio filo interiore emozionale, la totale disattivazione di freni e barriere e meccanismi di sorta per limitare le velocità d'impatto tra le vite umane. E questo in qualsiasi ambito, lavoro, sentimenti e persino tra amici. Scusatemi, casco dal crinale dritto nella retorica spicciola e questo non è onesto. Evidentemente, la percezione tra un Natale e l'altro, e sto parlando di un anno intero porcaccia la miseria, è troppo risicata cosicchè mi ritrovo a scrivere queste righe con la sensazione d'aver già detto tutto. In realtà, sotto la riga tirata per la somma, non ho detto un bel niente. Lo dico prima di tutto a me stesso, dobbiamo fare il passo oltre la linea, mettere i piedi su terreni non familiari, sconosciuti, proprio quelli su cui non sappiamo muoverci, sperare che essi ci donino nuovi equilibri su cui appoggiarci. E poi riprendere a camminare, sempre senza dimenticare le "tradizioni".
Auguri, come si dice a chi è stato operato o a chi è stato promosso o ha chi a vinto. Fateci caso, gli auguri si dicono sempre a cose fatte, mai prima che esse accadono. Porta male, dicono, e allora: in bocca al lupo per il Natale e per l'anno nuovo.
Che è meglio.
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Di domenica pomeriggio
spedito da: Andrea
Data: domenica, 24 novembre 2013 - ore 20:38
Non so, ho sempre pensato che l'inverno, il freddo e le serata buie in genere, fossero lo scenario perfetto per dare forza e valore ad un sentimento. Manco che le belle stagioni con tutta quella luce e quell'energia, distogliessero e privassero gli amanti della concentrazione necessaria a dedicarsi gli uni agli altri. E così assisti, nel pomeriggio scuro e freddo della domenica, allo spettacolo di uno stringersi attorno a delle tazze fumanti, magari per leggiucchiare frivolezze in rete su un piccolo portatile, di due ragazzi che di sicuro ignorano molto di ciò che gli sta attorno ma che ne sanno molto di più di loro stessi e della forza misteriosa che li spinge l'uno verso l'altro. Assisti allo schioccare di baci dati dondolando tutto se stessi, come parti di una specie di macchina da luna park, facendo seguire sorrisi che la dicono lunga sulla forza che li circonda e di come essi sappiano svolazzare leggiadri sulle immondizie delle umane miserie. Il tutto, mentre la gente intorno sbevazza anch'essa, vociando chi di mariti fedifraghi, chi di situazione economica irrecuperabile, chi dell'ultimo film al cinema, tutti allineati attorno a tavolacci di legno grezzo con lampade calate dal soffitto che riducono il cono di luce al volume dell'avventore, in modo da esaltare il singolo, da solo nella moltitudine degli altri. Tranne, ovviamente, quei due ragazzi che vanno oltre, attraversando come comete, il buio oleoso e il freddo tagliente di una domenica pomeriggio qualunque.
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Resta fissa un'immagine qualunque, eppure...
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 22 novembre 2013 - ore 23:59
Stasera ero seduto ad un tavolo, in un locale, non ha importanza quale. C'era del vino, del cibo, un amico di fronte che doveva raccontare. Doveva raccontarmi. Non è stato come mi potevo aspettare, non con quella inceppatura nel dipanare gli eventi, non l'appesantimento dei fatti ammantati di pathos. Invece lui ha raccontato con grande facilità, una perfetta regia. A un certo punto ha detto che ha camminato da Hyde Park fino a Piccadilly Circus passando per Green Park, come evento di collegamento tra tanti che avrebbe raccontato nei minuti successivi. Io sono rimasto indietro, perchè mi sono fermato a guardare quell'immagine; almeno mezz'ora di cammino tra strade di una città che si ricorda poco, davvero, dopo tutto questo tempo. Allora mi sono venuto in mente: la mia camminata di ore dal centro di Melbourne per andare a vedere l'oceano. Mi sono chiesto, perchè lo abbiamo fatto? E' un gesto qualunque, eppure non lo è per noi. Ho rivisto come in una prospettiva aerea, questo piccolo uomo quale sono, che avanza a passo spedito coprendo chilometri, per arrivare al fronte dell'oceano del sud e consumare un fish&chips cercando di rimanere leggero nell'anima. Passo dopo passo, lenti come mai si è da queste parti, a scandagliare se stessi, sezionare i propri pensieri, rileggere le proprie inquietudini e maledirsi per quegli scatti gratuiti che hanno distrutto fragili equilibri. Noi stessi, tutti e condensati, in semplici passi, lontani chilometri da casa con tutto il peso di interrogativi irrisolti e irrisolvibili eppure speranzosi di chissà quale sterzata del destino. Io laggiù, il mio amico molto più a nord. Resta l'interrogativo, legato a tutti gli sguardi che abbiamo incrociato in quei chilometri e in tutti quelli coperti nella nostra vita. Aveva qualcosa quella gente, non era solo un incedere e tagliarsi la strada e le traiettorie, è sempre andato oltre: ad una settimana da un altro incontro importante, tutto rientra nell'alveo. Perchè a rimanere in piedi si fa facile, mentre il punto rimane riuscire a farlo con stile e dignità. Eleganti nelle movenze statiche, il gioco di opporre forze per apparire fermi. Una bella serata quella di oggi perchè nulla ha dato e nulla ha tolto, però ha girato la faccia verso un'altra direzione. Ogni tanto fa bene osservare punti nuovi, la scoperta della prospettiva è sempre gravida di interrogativi adrenalinici.
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Una sera, a Venosa.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 7 novembre 2013 - ore 23:29
Mi sono messo a correre certamente per scopi sportivi e di manutenzione fisica; ma senza dubbio un effetto collaterale assolutamente non deprecabile è lo svuotamento completo delle cianfrusaglie emotive che asfissiano i buoni pensieri, le lucide rappresentazioni delle gioie, quelle spicciole e perciò fugaci. Lasciatemi allora spendere due parole su quello che è accaduto sabato sera, in quel di Venosa, paese incastonato nel centro di un meridione che solletica fantasie popolari alle quali sono sempre appartenuto. Mi sono ritrovato con quattro amici in macchina per raggiungere in una serata complice delle nostre volontà, altri amici come noi, che la strada ha unito indissolubilmente alle nostre esistenze. Ci siamo seduti attorno ad una tavola dove si è concretizzata un'aspettativa di solidarietà dei desideri come non la sperimentavo da tempo. Nessuna sensazione di fuoriposto, nessun permesso per essere se stessi, tutti attorno, in circolo per chiacchierare e sentire come una sola giornata abbia incollato persone e volontà e sacrificio; lontani nello spazio ma praticamente ad un passo col pensiero. Sentirsi come a casa, come se le persone attorno a quel tavolo le si conoscesse da sempre, una compressione temporale senza un inizio nè una fine. Mi sono girato spesso a contemplare quella scena, con i miei tre commilitoni al fianco e gli altri due di fronte, in mezzo alla loro famiglia, ospitale come quelle leggende da dopoguerra italiano, dove la tavola diventava la piazza dove incontrarsi, conoscersi, scambiarsi tempo e vita e cultura. Ricordando dentro di me, in silenzio, senza sminuire nè banalizzare il mese di vissuto sulla strada di una nazione che ci impedisce ancora di raggiungere la felicità vera, pura e senza intoppi ma che ci carica e ci pulisce dentro per essere sempre più onesti, sempre più delle brave persone. Che serata ragazzi, un omaggio a quegli eroi.
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Tutti a casa
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 17 ottobre 2013 - ore 13:7
Qui ho finito, e' tempo di tornarmene da dove sono venuto. Faccio un passo indietro per osservare cio' che ho fatto: bene devo dire, molto soddisfatto. Stirato nei nervi come poche volte in vita mia ma contento. Domani sgommo da Melbourne per fare un viaggio di 27 ore complessive fino a Milano. Troppe direi ma meno di cosi' non si puo' fare a quanto pare...nel passeggiare stasera attraverso la citta', immergendomi di nuovo in quel crogiolo di razze e colori e lingue di cui scrivevo l'altra volta, ho fatto un bel down-under come si deve, di quelli che mi vengono ogni volta che bevo birra a stomaco vuoto (m'ero ripromesso di non farlo piu' ma evidentemente non sono molto coerente). La sensazione mi porta a riflettere in troppe direzioni, cosi' non vedo l'ora di rimettermi in marcia e tornare a casa dove riesco a controllare meglio l'emotivita'. Ieri sera il buon Sebastian mi trattiene per l'ultimo sorso al bar dell'albergo e mi chiede il segreto del successo (di risultati) del team italiano all'interno delle country mondiali, mi chiede se c'e' davvero un segreto poi o non sia semplicemente altro. Ascolto compiaciuto la domanda e al momento di rispondere non mi trovo pronto come credevo. E' pur sempre un tedesco Seb, brav'uomo devo dire, ma con quegli interrogativi che hanno tutti i tedeschi verso i mangiaspaghetti. Cosi' ho un sussulto e gli racconto che i magnifici venti di Cormano sono quello che l'Italia sta cercando di mettere in campo per far fuori le merde che ci hanno portato a questo punto. Gli racconto dell'abnegazione quotidiana, dell'onesta' intelletuale e del rispetto che ci portiamo dentro; che siamo come una piccola squadra di soldati che combattono una guerra senza armi. Agiamo di professione, con tutte le cose migliori e trasparenti che abbiamo. Ed e' il nostro contributo contro lo sfascio, morale e di intenti. Siamo gente onesta e rispettosa, nient'altro. E vaffanculo ci vogliamo bene. Il crucco tracanna quello che gli rimane nella pinta, mi fa cenno d'aver capito e sorride. Dopodiche' mi mostra delle foto della maratona di Berlino alla quale ha partecipato. Ed io gli dico che e' bello fare qualcosa che non sia solo lavorare, avere un progetto. Alla fine del discorso, si conviene entrambi che tutto deve essere in equilibrio nella vita, quest'e' quanto. Scolo anche io il bicchiere e ce ne andiamo a nanna. Chissa' se tornero' piu' da queste parti, chi puo' dirlo, ma intanto, signori, direi che va bene rientrare. Alla prossima.
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Melbourne - Australia
spedito da: Andrea
Data: domenica, 13 ottobre 2013 - ore 9:7
Dunque la prima settimana e' andata. Oggi mi sono fatto la corsetta nella palestra dell'hotel che mi ospita: fuori siamo in pieno "chioving" time! Miseriaboia...Mi sono spostato a Melbourne dopo appunto sette giorni passati a Sidney. Ovviamente sto avendo pochissimo tempo per guardarmi attorno essendo questo un viaggio di lavoro tralaltro dai ritmi, molto serrati, frutto della "voglia" dei miei colleghi australiani di sfruttare la mia presenza fino all'ultimo secondo. Nessun problema, dico io anche perche', devo ammettere, la cosa mi sta facendo fare un'esperienza non da poco. E' straordinariamente efficace poter crescere ancora e ancora alla soglia dei quarant'anni. Imparare, emozionarsi e non soltanto perche' sto pedalando in posti remoti ma una volta tanto, anche per la sana tensione di un confronto che le professionalita' possono generare. E grazie ancora e ancora anche per questo alla mia vita, molto generosa e davvero poco avara in tutti questi anni.
Quaggiu' se la passano bene, forti di un'economia basata sulle materie prime minerarie, sebbene esposta come tutte alla finanza specualtiva, riescono a tenere dei tenori di vita da paura: le citta' sono modernissime con tantissime attivita' edilizie ancora pullulanti dappertutto, dalle periferie al centro citta'. Uno stile che ricorda una commistione equilibrata tra UK e US pur cercando di metterci dentro qualcosa di loro che, come dice il buon Reuben - collega aus, e' davvero poco. Auto costose, donne very "classy" citando ancora Reuben, prezzi altissimi anche per generi di prima necessita', insomma tutto un mondo spostato su un piano proporzionato di costi-guadagni. L'emigrazione e' controllata ma con un occhio di riguardo per la voglia di lavorare: intendo dire che il loro bisogno di manodopera non e' mai scarso e questo attrae molte popolazioni dell'asia a trasferirsi da queste parti e il paese agevola molto chi trova un impiego, di qualsiasi genere esso sia. La comunita' italiana qui a Melbourne e' seconda solo a quella statunitense e gli oriundi parlano ancora un ottimo italiano. Non ho mai visto un crogiolo di razze come da queste parti, la cosa e' particolarmente evidente e sembra di vivere davvero in quel mondo senza frontiere che cantava Lennon anni addietro.
Io, nel mio piccolo, ancora mi sorprendo, come sempre mi capita, ogni qualvolta rinnovo la consapevolezza di incredibile relativita' che il mio essere occupa all'interno dell'umanita' intera. La terra e' davvero vasta, le persone sono in un numero pressoche' infinito per la nostra limitata percezione umana. Questo dovrebbe scatenare riflessioni infinite su innumerevoli aspetti della nostra esistenza, a partire dalle nostre capacita' relazionali. Io faccio del mio meglio, come tutti d'altronde, cercando di assorbire il piu' possibile perche' cio' che davvero conta, e' imparare vivendo. L'unica vera strada per arricchire la propria maturita' e con essa la propria saggezza.
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Fontanarossa ancora una volta...
spedito da: Andrea
Data: domenica, 29 settembre 2013 - ore 16:59
Di nuovo in questo aeroporto, per una volta ancora. Che cosa rappresenta Fontanarossa? E' un crocicchio d'intenti, di opportunita' impalcate e mai proseguite, di telefonate annientate dalla furia di un folle dogma,di speranze gia' polvere quando credi di avere pezzi solidi in borsa; ma questo luogo di passaggio, ''non luogo'' come dice Marilia citando Auge', e' anche un altare di riconoscenza per rapporti nuovi e salvifici, di arrivederci anziche' addii, di rinnovate certezze ed emozioni lucidate dalla delicatezza degli incastri del destino. Che poi e' manifestazione finale del nostro agire, niente da dire in merito. Io sono di nuovo qui, ormai sembra un ottimo rendez-vous col mio io, a sovrapporre strati di ricordi e vissuto presente, a sbirciare nelle pieghe del ''gia' fatto'' e del ''faro' ''. Mi piace questo esercizio, perche' sono un appassionato di confronti e ricordi; perche' mi piace ritornare dove sono gia' passato e, ovviamente, la metafora non e' soltanto legata ad un concetto geografico, questo mi pare ovvio. Sebbene sia alla soglia di un poker di decenni di egregio e dignitoso stare in mezzo, non mi stanco mai di pensare che devo ancora fare l'home-run decisivo, quello che tenti per tutta una carriera, quello dove vorresti spaccare la mazza alla Robert Redford ne ''Il migliore'' e vedere la pallina scucirsi e ridursi a un niente mentre intorno la folla e' in delirio. Un obiettivo che rimane simbolico, che vive soltanto nella memoria di chi e' li' a guardarti mentre lo fai o dentro te stesso che altro non aspettavi. Io amo sempre scendere in campo, sebbene ultimamente lo faccia con una spregiudicatezza assolutamente nuova; perche' adesso scendo nel diamante con la certezza di poter battere il colpo decisivo in uno qualsiasi dei tentativi mentre in passato ho avuto la riverenza di colui che doveva ancora imparare qualcosa, che ancora non aveva compiuto il percorso. Oggi e' diverso e questo mi fa sentire bene, anche se talvolta strani fiotti acidi mi attraversino le carni. Questo e' Fontanarossa, con tutto quello che rappresenta da tre anni a questa parte. E coincidenza non puo' essere il lasso di tempo che separa la mia prima volta in questo aeroporto ad oggi, che tiro ancora una riga e riparto. Ovviamente non senza una sporta di cannoli da portar via, mi sembra ovvio...
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Andiamo avanti.
spedito da: Andrea
Data: sabato, 21 settembre 2013 - ore 15:44
Il tempo e lo spazio si comprimono e si dilatano. E' straordinario come si possa spegnere o accendere una macchina cosi' complessa come l'essere umano eppure...io vado che e' una bellezza, pronto e spedito, lungo le traiettorie dello spazio di cui sopra che, sebbene resti assoluto nella sostanza, diviene per me relativo come qualsiasi altra percezione che sperimento. Il tempo fa altrettanto; perche' cercando di qualificare lo spazio di prima, gli si incolla addosso con un'elasticita' che e' assolutamente efficace. Cosi', mi sposto veloce, corro, cerco di sfruttare ogni residuo di energia che ho accumulato, paradossalmente in una pratica di svuotamento fisica e mentale. Incredibile. Eppure sono ancora qui, che tendo e realizzo, che proietto e che sogno, insomma, che vivo. E' arrivato il momento che tutta questa volonta', questo entusiasmo, costatomi anni di fatica e sperimentazione, vengano utilizzati a scopo positivo ed altruistico. Ho avuto una cena importante, con l'uomo che possiede alcune delle risposte, donategli da una vita piena e decisamente concreta. E' importante incontrarlo ogni tanto, ogni qualvolta il momento diventa delicato e importante. Lo e' adesso. Per questo ero seduto alla sua tavola ieri sera, davanti pasta, carne, vino e formaggio e frutta e caffe, come si conviene alle cene dove il cibo e' un tramite di messaggi e foriero di venti di saggezza. Ho dialogato, cosa che faccio di rado, realmente, quando mi metto nella condizione di accettare le critiche e i suggerimenti. Perche' questo e' successo ieri sera, in una casa piazzata in una fetta di incontaminato ambiente, in mezzo a montagne che non conosco. E sono andato via come volevo andarmene, con le gambe piu' forti e l'animo piu' sereno. Perche' e' cosi' che accade ogni volta che incontro e parlo con quell'uomo. L'avevo gia' scritto una volta, lo ripeto adesso, un capitano autentico. Ed ora? Ed ora sono su un mezzo veloce che mi sta comprimendo e dilatando, con la complicita' di amici di un tempo, che mi permettono di incastrare e realizzare i desideri che mi spingono ad emozionarmi e sorridere. Fino al prossimo schianto s'intende... Grazie infinite a Roberto e Paola ed Antonello e Mariangela
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IGB on the road
spedito da: Andrea
Data: sabato, 3 agosto 2013 - ore 20:6
Salve! Qui potete lasciare i messaggi di commento all'iniziativa se non avete un account FB.
Andiamo ad iniziare!
Un abbraccio.
Andrea.
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Un attimo prima di partire
spedito da: Andrea
Data: sabato, 3 agosto 2013 - ore 19:58
Bene, ultime righe prima di partire come da tradizione. Stavolta voglio andare con una lista alla Erlend Loe.
-Sento dire di andare soltanto avanti, mai guardare altrove, andare andare andare, che fermarsi a riflettere è rimanere indietro: puttanate. Saper tirare i freni e volgere lo sguardo verso una direzione contraria al senso di marcia significa che c'è un bisogno da ascoltare che, una volta indagato e soddisfatto, sicuramente potrà soltanto farci proseguire meglio di prima.
-L'ho detto in un'intervista: viaggiare è conoscenza e memoria. La prima serve a creare la seconda. Non abbiate paura di ricordare, è il motore di ogni azione presente che prepara e proietta nel futuro. Ragion percui, chi vi dice che è da perdenti spendere attimi di esistenza a ricordare mentre "il mondo va avanti", sappiate che sono dei perfetti vuoti cosmici che non hanno avuto alcuna esperienza da fissare: bella o brutta che sia.
-Credo ancora nel recupero: come azione preparatoria allo sforzo successivo e come ripresa di mondi emozionali perduti. Viaggio in bici anche per questo, per imparare a "recuperare" e coglierne i segreti più reconditi. E' disciplina vitale.
-La tensione che mi sta stirando i nervi e tendendo i muscoli come le corde di un violino d'annata da una settimana a questa parte è merce rara: ringrazio, qualunque essa sia, la genesi di tale sensazione. Se non la percepissi, fallirei ancora prima di partire. E' uno dei motivi che mi spingono a realizzare esperienze del genere.
-In ultimo, vi invito a riflettere su come la bicicletta, una delle sintesi retoriche di libertà assoluta, abbia come cuore pulsante di funzionamento imprescindibile una catena. Questa è una presa di coscienza assoluta e universale.
Vi voglio bene.
A.
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Qualche giorno prima (della tempesta)
spedito da: Andrea
Data: sabato, 27 luglio 2013 - ore 21:46
Stasera le emozioni si alterano. Prendono la forma che devono, generano ansie motrici ed extrasistole benefiche. Sebbene mi arrivino notizie brutte da una parte del mio mondo affettivo, pesanti e gravide di negatività, come sempre di fronte a queste manifestazioni la reazione migliore è l'onorare la vita come sempre si fa, almeno dalle mie parti. Così, mancano pochi giorni ormai e poi sarà di nuovo un ingresso piccolo ma significativo nella storia personale della mia vita. Avrò amici e persone mai incontrate questa volta al mio fianco e sarà sicuramente un bell'andare. Sarà l'ennesimo viaggio che traccerà traiettorie parallele alla mia esistenza, che regalerà stimoli rinnovati e lucidità nel pensiero e nell'azione. Stasera il mio pensiero va a tutte quelle persone che sto salutando in questi giorni e che stanno partendo per pit stop tecnici alle fatiche della vita; ad una persona a me cara che si accinge ad una battaglia che la più dura delle salite che affronterò sarà nulla al confronto; alle persone che hanno reso possibile questa idea di Italia diversa sulle due ruote e per altre strade. Il mio pensiero, questa sera, va a tutti quelli che, come me, hanno avuto in dono il rispetto della vita, riconosciuto e mai bistrattato, mai, attraverso un mezzo che è il più semplice dei semplici, eppure ponte robusto e longevo tra ciò che è e ciò che può essere. La strada risolve, risolve sempre.
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Senza Titolo
spedito da: Andrea
Data: sabato, 6 luglio 2013 - ore 20:0
Sono seduto su una panchina di marmo. Il luogo è noto, non dico familiare che è troppo, ma lo ricordo bene. Mi, ci, ha visto delicatamente protagonisti e adesso, a distanza di anni, lo è ancora. Lei mi osserva raccontare di un mio viaggio, è attenta, ma io so che è circostanza in prevalenza perchè dopo tutto il tempo, la confidenza non poteva avere tempo zero. C'è un'inerzia che deve comandare i tempi ed io lo so ma non posso farci niente se la sensazione è quella di averle detto l'ultima parola il giorno prima. Così, il cielo è sereno, la macchina parcheggiata al solito posto, la sua sigaretta in attesa di essere consumata, i dolci della pasticceria che anelano ad essere scelti e mangiati ma, adesso, c'è un dialogo che, a parte l'argomento che è sempre supremo per me, la circostanza vince su tutto: surreale, sensibile, delicata, perfetta e potente, come se fosse un sogno vivido e cosciente dal quale svegliarsi, di sicuro, ma intanto è lì, e tutto è disposto e perfetto, persino i bambini che giocano a pallone qualche metro più in là. La osservo bene, perchè è come se tutto potesse sfuggire e re-inabissarsi da un momento all'altro; cosicchè registro tutto con la mia mente perchè, al di là di tutto, a me quel momento sta giocando sui meccanismi emotivi in modo subdolo ed inaspettato; ma forse è per questo che ho voluto che quell'incontro avesse luogo, proprio perchè l'esperienza non era prevedibile. "Una persona che meritava d'essere incontrata", così ho detto ad una mia amica che m'aveva chiesto cosa avrei fatto dopo essere andato a trovare lei e i suoi bambini. E' stato giusto ed i tempi pure, perchè lei stessa m'avrebbe poi detto che in altro momento nulla avrebbe potuto che quella situazione avesse luogo, decisamente. Ed io ne ero certo che un residuo di rabbia ci fosse dentro di lei, ma ero altrettanto sicuro che la sua gentilezza avrebbe prevalso col tempo e che una concessione avrebbe potuto farla. Velocemente percorrevo il tempo, lo spazio era immobile e tanto bastava. Ogni prima volta nella vita è meritevole di essere ricordata con un altare dedicato: recuperare quella persona e quel momento, nell'economia della mia vita di adesso e di poi, è di un valore che non posso stimare. Devo solo ringraziare lei, perchè se oggi scrivo queste righe e mi sento dal lato positivo del mondo, è solo perchè sono riuscito, anche solo per un breve momento, a rimettere quella composizione in quel modo e in quel posto. E che mai più vorrei che sfumasse nell'oblio.
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Per ItaliaGiallaBianca
spedito da: Andrea
Data: martedì, 2 luglio 2013 - ore 23:30
Non è mai stata solo una questione di gambe, nè di un mucchio di tubi di metallo saldati insieme con qualche pezzo di gomma e altri materiali sparsi. Una curva non è mai stato solo un cambio di traiettoria, nè una salita una variazione di pendenza. Soprattutto, una strada non è mai stata solo una traccia di passaggio per uomini e mezzi, bensì un percorso. Io sono stato e, sono, un uomo fortunato, l'ho sempre detto e continuerò a dirlo finchè nè avrò e oltre. Ho conosciuto le lacrime di gioia al culmine del sacrificio, i brividi di un'emozione sconosciuta per aver stretto un mucchio di pietre dove gli uomini sono rari. Ho respirato a fatica in mezzo al niente e spinto lo sguardo oltre i bordi dei miei limiti. In una parola, ho vissuto la libertà, quella autentica e grezza, quella che non appartiene al mondo che conosco quotidianamente. Ho condiviso il valore dell'uumanità nel rispetto della madre terra, sudato liquidi alcalini mentre purificavo il mio interno, pianto per lo scarico di una debolezza da piccolo, insignificante essere umano, dinanzi all'eterno. Ho avuto paura quando non ce ne sarebbe stato motivo e sono stato coraggioso quando era inutile. Ma di nuovo rientro circolare al punto di partenza e stavolta vedrò di nuovo schiene curve davanti a me, nel gesto nobile della pedalata, come un tempo fa. E sono certo della giustezza della strada che mi e ci sta aspettando, nella sua severità di maestra che va oltre un insegnamento elementare e alla portata di chiunque. Lo dicevo all'inizio, sono fortunato, siamo fortunati. Perchè ci sarà dato di sfidare noi stessi e le nostre vergogne, i cedimenti elementari che fanno crollare le fortezze, la messa a nudo delle nostre arroganze per ritrovarci umili come la pioggia che assorbe il terreno, senza pretese, parti integranti di un meccanismo che muove circolare da millenni. Non sarà facile, perchè malediremo l'abbraccio del martirio apparentemente inutile e privo di scopo, perchè il dolore delle fibre muscolari in distruzione ci ricaccerà indietro nei meandri più bui della nostra coscienza ma, se rimarremo in sella, usciremo a rivedere la freschezza del rinnovamento, la nuova pelle che ci coprirà nella follia delle discese a perdifiato, in mezzo agli sguardi distratti di chi non ci conosce mentre noi saremo e siamo, ambasciatori di una gloria che non ha premi, nè vincitori, solo, unicamente, uomini fieri.
Vi aspetto in strada, perché, statene certi, sarà una grande, generosa, favolosa, strada.
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A parti invertite
spedito da: Andrea
Data: domenica, 16 giugno 2013 - ore 22:44
L'ho vista arrivare dal fondo della strada, la stavo aspettando da tempo e ancora non mi pareva vero. Ho scostato con le dita le veneziane di alluminio, quel rumore che avevo imparato negli anni e che più avrei risentito e l'ho vista nel buio della sera, che avanzava. Con una bottiglia di vino in mano, senza borse o borsette, solo con quella bottiglia, e camminava verso casa mia. E' sempre stata così, assolutamente oltre ogni interesse all'ambiente attorno, fuori eppure dentro la mia stessa dimensione ma con un talento che io non avevo. Ha bussato e le ho aperto il portone, ha salito le scale e le ho aperto la porta. Ed era lì, dinanzi la soglia con i suoi capelli lunghi e lisci, il suo viso delicato, leggins grigi e un vestitino glicine a sbalze. Sono rimasto in un limbo di im-percezione mentre lei mi sorrideva con gli occhi sempre un po' sgranati, di chi guarda sfumature che altri non percepiscono nemmeno. Mi ha detto del vino, l'ho afferrato ringrazinadola portandolo in frigo: lasciarla anche solo per un istante fuori dalla portata della mia vista, in giro libera per la mia casa mi creava un senso di disallineamento delle percezioni che raramente avevo sperimentato in vita mia. Sono tornato nell'anticamera, le ho detto di seguirmi che le mostravo la casa. E' entrata nella mia stanza, so che camminava ma io registravo una fluttuazione, come se fosse un piccolo angelo non un essere umano; mi rendevo conto d'essere fin troppo inebetito ma non potevo farci niente. Ero fisso sul fatto che lei fosse lì, in quella camera, a osservare le mie cose: mi sentivo come uno che cercava di reclutare un campione in una squadra di calcio senza avere il benchè minimo quattrino. Mai avrei creduto di poter arrivare addirittura a giocare un mondiale fino in finale ma in quel momento non lo sapevo, non avrei mai potuto immaginarlo. Lei svolazzava, sfiorava dorsi di libri, si guardava intorno interessata a tutto e niente allo stesso tempo, faceva domande e annuiva ma senza grossa partecipazione. Era come se la sua mente fosse già proiettata altrove, al momento nel quale avrebbe dovuto raccontarmi. Ed io ho continuato a compiere e infilare gesti e frasi e movimenti più o meno consapevoli fino a che, nel mezzo della cena, a tavola, mentre io ancora aspettavo di consumare un lutto tra quelle mura, lei iniziò a raccontare di un uomo, nella sua vita, che andava e veniva a piacimento, che la destabilizzava ogni volta, che la rendeva fragile e succube, e di come lui avesse una compagna, una vita, ma ancora la cercasse e se ne approfittasse di lei e della sua debolezza di donna sensibile e attratta sebbene in parte lievemente disillusa. Io ho sentito allargarsi la solita crepa che ogni volta mi si creava dentro, ogni volta che inseguivo donne distratte da altri destini. Eppure, sebbene la sensazione fosse stata di un sottile dolore difficile da delineare, eppure ringraziavo per quella serata, perchè s'era verificata una così straordinaria vicinanza con quel nocciolo di energia pura che sempre avevo inseguito e che adesso portava in dote la ragazza che avevo di fronte, che era impossibile non fare un inchino di ringraziamento al destino. E quando è andata via, ringraziandomi, baciandomi sulla guancia mentre contemporaneamente mi appoggiava una mano sulla spalla, io non avrei mai creduto che non era quello il momento nel quale l'avrei persa ma che, in realtà, dovevamo ancora incontrarci io e quella ragazza. E l'ho vista andare via, nel buio della notte, da dove era arrivata. Di nuovo, spostando le veneziane, di nuovo sentendo quel rumore così familiare.
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Un altro parte e qualcuno mi avverte per telefono.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 21 aprile 2013 - ore 23:0
Ieri sera se n'è andato un altro personaggio chiave. Lo dico perché per me ha rappresentato una figura che serviva a marcare un periodo ben preciso della mia vita, della mia infanzia. Mi hanno chiamato che ero in un locale con degli amici, un contrasto difficilmente sostenibile in quel contesto. L'ennesimo uomo sconfitto dalla malattia e strappato allo scorrere naturale del tempo. Mi dispiace di non averlo potuto salutare ma credo sarebbe cambiato poco da come mi hanno detto stava soffrendo da un paio di mesi. Così lo saluto qui, tra queste righe, quest'uomo che camminava per le strade silenziose di un paese (di allora) appena tremila abitanti incastrato nelle montagne lucane subito a ridosso di Potenza. Anche quando cadeva la neve o quando faceva caldo d'estate. Di quando mi portava, insieme a suo figlio, nella sua renault quattro con la trazione anteriore e i sedili di plastica intrecciata. Un uomo segaligno, robusto e scavato come la canna del fiume, che ondeggiava al vento e sapeva attendere le stagioni. Un lavoratore di quelli che non ce ne sono più, che sapeva fare tutto, con la sola forza delle braccia e della sapienza delle mani, una roba che i giovani di oggi non riuscirebbero neanche a concepire. E se n'è andato, partito per uno di quei viaggi che se non fai in tempo ad arrivare per salutarlo poi è troppo tardi. Intanto io ci provo, a dirgli ciao. Sai mai che riesce a sentirmi. Ciao Saverio.
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Alla finestra.
spedito da: Andrea
Data: lunedì, 8 aprile 2013 - ore 22:25
Ho guardato a sufficienza fuori da quella finestra. Mi sono alzato, di solito presto come ogni volta che torno a casa dai miei e alla mia città natale, e mia madre aveva il caffè pronto. Ho preso la mia tazzina e mi sono messo a sorseggiare davanti alla finestra appunto, per un tempo indeterminato. Osservavo i profili delle cose, per scorgere cambiamenti assolutamente necessari dato che la cadenza con la quale scendo giù dai miei è circa un trimestre alla volta: non può non cambiare nulla. Il caffè era tutto sommato passabile, però io ero tutto concentrato in quella bolla di attenzione ingiustificata interrogandomi sul perchè mi ostinassi ogni volta a cercare mutamenti, termini di paragone, disallineamenti che mi facessero sentire in movimento, lungo un percorso circolare che ogni volta che ripassa per la partenza misura i progressi o le involuzioni. Ed io, assolutamente alla ricerca dei progressi che però sembrano sempre concessioni minimali di un destino un po' troppo avaro. Questo pensavo mentre il ricordo confuso della notte appena passata supportava come un velo d'acqua tiepido una persistente corrente elettrica superficiale che sorreggeva tutto quell'inutile speculare. Perchè ero così eccitato di prima mattina? Cosa m'aveva lasciato in dote l'ennesima esperienza onirica che pare essere l'unica dimensione dove ritrovare se stessi lasciandosi completamente andare? Freud mi è sempre stato simpatico per questo straordinario salvacondotto per l'inconscio (o ego) che ha individuato nel sogno e i suoi effetti collaterali. Le immagini, i frammenti più che altro, erano tutti lì, impressi sulla mia retina con una persistenza sufficiente a tenerle vive e intelligibili; e mi piaceva quello che vedevo, sapevo perchè ero contento, addirittura emozionato. Lo sapevo e questo bastava, perchè già riconoscersi in grado di generare, spontaneamente, certe esperienze, vuol dire che ancora ce n'era, che sebbene io continuassi all'occorrenza a perdere di vista l'obiettivo e la strada da percorrere per ottenerlo, notti come quella appena passata potevano contribuire al riallineamento delle prospettive, alla ricarica dei serbatoi della speranza, alla coscienza che ero ancora dove volevo essere, senza alcun dubbio aggiunto. Così, ho continuato a fissare fuori ma con un sorriso sulle labbra, assolutamente privo di relax, però spontaneo e sorretto e questo mi faceva stare bene. Dopodichè mi sono vestito e sono sceso a cercare altri mutamenti perchè quei giorni sarebbero dovuti servire a quello, come sempre ogni volta che torno giù al sud, a casa mia, tra le mie colline e le strade che conosco così bene.
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La scrittura che salva la labile memoria.
spedito da: Andrea
Data: domenica, 17 marzo 2013 - ore 15:26
[...]
In una giornata opaca nel tempo e nell’anima che passai verso Maggio con lei, sdraiati su una spiaggia di sassi a Positano, ricordo le parole di definitivo commiato che la sua speranza agonizzante le fece proferire un attimo prima di andar via: "io spero per te che tu abbandoni questa insulsa ostinazione verso qualcosa che non c’è. L’amore come tu lo vuoi non esiste, è una maledetta utopia non lo capisci? Prima ti invidiavo per questa tua fermezza, desideravo non averla mai voluta perdere neanch’io, ma ora dopo averti conosciuto e vissuto sulla mia pelle quanto ti ostacoli nell’essere più spontaneo e adattabile alla realtà non credo di essere stata troppo sfortunata."
"In cosa?"
"Nel perderti"
Poi, togliendosi i capelli dal viso e assumendo un’espressione di pietà aggiunse: "spero davvero per te che tu riesca nella tua impresa ma fossi in te ci rifletterei bene prima di lasciarti scappare via tutto quello che di potenzialmente buono ti passa per le mani e che è comunque lontano anni luce dal tuo quadro perfetto." Sai che sensazioni provai a quelle parole? Beh, le stesse cose che provò lei nel dirmele. Pietà per il suo disincanto e certezza che se mai avessi avuto qualche flessione nel mio disegno di vita, dopo quello che avevo ascoltato non ne avrei più avute.
[...]
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Un giorno, un autunno.
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 22 febbraio 2013 - ore 23:35
La madre si accovacciò per abbottonare il cappottino del bambino, uno di quei montgomery con i bottoni di plastica di finto corno. Intorno faceva freddo, pieno autunno, in un paesino dell'appennino lucano il clima poteva essere davvero difficile in certi mesi dell'anno. Il cielo una lastra di grigio compatta e chiusa come la più diffidente delle vedove. Il bambino si lasciava vestire, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il viso verso terra. La mamma gli sollevò il mento con delicatezza mentre lui singhiozzava, dei lacrimoni gli rigavano il volto paffuto. Gli occhioni azzurri velati dalle lacrime che tremolavano nel vento freddo. "Su non fare così, non piangere" disse la donna, trentacinque anni, graziosa e delicata sparata in un posto che non le apparteneva, come tutti quelli dove era stata precedentemente. Ma il bambino andava dritto per il suo percorso emotivo e proprio non riusciva a smettere di piangere. A due passi c'era la recinzione del campo di calcio, un enorme rettangolo di terra battuta dura e inospitale, vuoto; il vento spazzava la superficie sollevando turbini di polvere fredda. "Vedrai, crescerai, andrai a scuola, poi all'università e conoscerai tanta gente, vedrai quanta..." disse ancora lei cercando di dare una prospettiva di lungo respiro a suo figlio. Perchè la madre sapeva la ragione di quelle lacrime. Come si può definire qualcosa che i bambini non possono ancora riconoscere e fare propri a quell'età? Eppure lui piangeva perchè la sua amichetta del cuore gli aveva confidato, nel giardino sotto casa sua, quello dove l'odore di resina dei pini era così forte, bè, lì lei gli aveva candidamente confessato che il suo principe azzurro era quel Giulio lì, di dieci anni e quindi più grande; lui l'avrebbe portata via sul cavallo bianco. Ed è allora che lui aveva sentito come qualcosa che si rompeva dentro, una specie di spezzatura di qualcosa di fragile. E bisognava piangere, come se le lacrime potessero portarsi via tutto, come un fiume in piena. Anima di Dio, chissà cosa credeva fosse tutto quel dolore improvviso, quella assurda sensazione di esclusione, messa da parte, che stava vivendo, quel suo ruolo usurpatogli da uno più grande, non solo nell'età ma anche nel fisico, il suo ruolo di principe azzurro. E per sempre gli sarebbe rimasto l'odore di resina e mai l'avrebbe dimenticato. L'eredità di un odio troppo acerbo per potersi sviluppare. I gesti della madre erano terminati. Lei l'aveva accarezzato con delicatezza, gurdandolo con occhi dolci pieni di speranza cocciuta per il futuro, piena di cieca forza e ostinazione da madre protettiva. Sapeva di non poter far altro per quel figlio che la stava sorprendendo con quel pianto mosso da quelle motivazioni che aveva ascoltato con incredibile incredulità. Già a quell'età, come poteva essere? Ma lei era sicura che tutto si sarebbe sistemato, che sarebbe stato impossibile pensare ad un futuro diverso da quello di una vita piena in tutti i sensi, gioia e tutto il resto e amore, quello vero. Cuore di madre, cos'altro poter concepire in quel momento? E quasi il bambino percepì quell'addomesticato istinto di protezione materna, quella corazza che invece si stava disgregando lentamente per portarlo ad esporsi completamente nell'età adulta. Non avrebbe sempre potuto contare sulla protezione di lei, non ci sarebbero state sempre le sue carezze. Sarebbe venuto un momento nel quale il pianto sarebbe stato cattivo e non dolce, dove i muscoli si sarebbero flessi per portarlo oltre luoghi sconosciuti e lontani, dove i pensieri sarebbero corsi più veloci della stessa comprensione del senso, dove le illusioni l'avrebbero spinto per anni e anni a vagare in cerca del senso. Ma in quell'istante erano solo una madre bella e dolce ed un figlio piccolo che piangeva composto e motivato sebbene la sua amichetta l'aveva messo da parte con estrema innocenza. Sarebbero cresciuti entrambi, la madre e il figlio ed entrambi avrebbero combattuto le proprie personalissime battaglie contro il destino affinchè quei gesti di quella giornata, poggiata su un crinale di tempo instabile, tutte quelle parole e speranze e certezze avrebbero portato frutti e non si fossero perse per sempre. Chissà dov'è oggi quel bambino, come sta giocando la partita e soprattutto chissà se la madre lo sta guardando posizionarsi nel mondo così come era lei ai tempi di quei gesti. Con tutto l'amore possibile e di più.
...A mia madre...
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